Psicologia

La realtà virtuale contro la paura della morte

Vivere un'esperienza extracorporea pacifica e senza spiacevoli conseguenze attenua la paura del decesso, anche quando l'illusione è soltanto simulata in laboratorio.

Vedere il proprio corpo dall'esterno e sentirsi fluttuare sopra di esso può attenuare la paura della morte: vale quando l'esperienza è reale, ma anche se la si induce con i visori per la realtà virtuale.

Da tempo si sa che chi ha vissuto esperienze extracorporee (out of body experiences), per esempio durante un intervento chirurgico in anestesia totale, in seguito riporta una minore paura di morire.

Meno pericoloso. Ma funziona lo stesso, se l'esperienza pre-morte è solo simulata? Un gruppo di ricercatori dell'Università di Barcellona ha coinvolto 32 volontarie in un esperimento di realtà virtuale in laboratorio. I soggetti hanno dovuto indossare visori Oculus e una tuta munita di sensori di vibrazione sui polsi e sulle caviglie.

Palline. Per la prima parte dell'esperimento, la visuale disponibile è stata in prima persona: le ragazze hanno potuto muoversi e orientarsi in un salotto virtuale. Per rendere l'esperienza ancora più immersiva, le volontarie sono state "bombardate" di palline immateriali. Ogni volta che una di esse le toccava, i sensori vibravano come se il contatto fosse reale.

Distacco. A un certo punto, però, per alcune la prospettiva è cambiata dalla prima alla terza persona: le donne si sono trovate nei panni di un nuovo corpo, che si sollevava rispetto al proprio, lasciato seduto nel salotto. Le palline hanno continuato a colpire la figura virtuale che si sollevava, dando l'impressione di un'esperienza extracorporea virtuale (nel video in fondo alla pagina, potete vedere le immagini riprodotte durante l'esperimento).

Vaccinate. Dopo il test le volontarie che avevano sorvolato virtualmente il proprio corpo hanno riportato una minore paura della morte, forse perché avevano vissuto un distacco simulato dal proprio corpo, senza traumi o conseguenze negative. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica PLoS One.

26 gennaio 2017 Elisabetta Intini
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