La mindfulness è una tecnica di meditazione buddista oggi molto diffusa nei paesi occidentali. Si basa sull'aumento della consapevolezza e dell'autopercezione. Sull'avere, cioè, piena coscienza di quello che si sta vivendo, sentendo, percependo in quel preciso momento. Lo scopo è favorire l'accettazione delle emozioni anche se negative, che di norma tenderemmo a evitare o allontanare, per imparare a gestire meglio i sintomi di ansia e depressione e aumentare la nostra sensazione di benessere e tranquillità. Non per niente oggi viene utilizzata in diversi ambiti, compresi i percorsi di terapia per i disturbi mentali o per le dipendenze, e si possono trovare corsi dedicati un po' ovunque, dalla palestra sotto casa alle app. Ma c'è un aspetto della mindfulness di cui si parla meno: i possibili effetti collaterali, con cui in occidente dobbiamo ancora imparare ad avere a che fare.
I benefici della mindfulness. Questa tecnica di meditazione ha dimostrato nei millenni di avere impatti significativamente positivi sulla salute mentale. Dal contrasto ai sintomi dell'ansia, fino al miglioramento di concentrazione, memoria e qualità del sonno. Diversi studi dimostrano come aiuti a ridurre il consumo di farmaci antidepressivi (che devono comunque essere assunti e ridotti in accordo con un medico) e a rendere più leggero il dolore provocato dall'artrite reumatoide e da altre malattie croniche. Ma come tutte le forme di terapia, non ha solo benefici.
Le reazioni avverse. Negli ultimi 10 anni sono aumentate le ricerche proprio su questo aspetto. L'ultima in ordine di tempo è stata pubblicata nel 2022 sulla rivista Psychoterapy Research e ha analizzato l'esperienza di 953 persone statunitensi che praticavano regolarmente la meditazione. È emerso che oltre il 10% di loro aveva manifestato reazioni avverse, con un impatto negativo sulla loro vita quotidiana con cui hanno dovuto convivere anche per un mese. E non sono le uniche.
Sempre nel 2022, uno studio uscito sul British Medial Journal of Mental Health ha tirato le somme di due anni di ricerche su 8.000 bambini, tra gli 11 e i 14 anni, che potevano praticare mindfulness nella propria scuola. Gli studenti provenivano da 84 diversi istituti del Regno Unito. Al termine del monitoraggio non emergevano miglioramenti per la salute mentale dei ragazzini rispetto al gruppo di controllo e, anzi, sembrava aumentare il rischio di sviluppare disturbi mentali per chi era più esposto.
Un'altra conferma di queste scoperte arriva da una revisione di 55 studi ad opera di un team dell'Università di Coventry, sempre nel Regno Unito.
Pubblicato nel 2020, dimostrava come circa l'8% dei partecipanti avesse sperimentato un peggioramento dell'ansia o della depressione, se già ne soffriva, oppure l'insorgenza di questi sintomi qualora non li avesse mai manifestati. Sintomi che si accompagnavano anche a episodi di psicosi, dissociazione dalla realtà, depersonalizzazione e allucinazioni.
Effetti già noti. La vera scoperta, però, è che non stiamo parlando di nulla di nuovo. I possibili effetti negativi della mindfulness, una pratica che in oriente è davvero antichissima, erano già menzionati nei resoconti dei monaci buddisti. Venivano descritti nel dettaglio gli episodi di psicosi e di dissociazione e si faceva riferimento al concetto di nyams, ovvero quelle esperienze meditative che producono euforia, visioni, sintomi psicologici e persino dolore fisico.
Un problema occidentale. Nella cultura orientale dunque è conosciuto e accettato il fatto che il percorso di meditazione possa essere contraddistinto anche da periodi più complicati. Ma questo aspetto è più difficile da metabolizzare nella società occidentale e laica, che attribuisce al dolore una valenza quasi unicamente negativa.
Perché si verificano questi effetti collaterali? La mindfulness "obbliga" ad avere più consapevolezza di se stessi e delle emozioni che si stanno vivendo, anche e soprattutto se negative. Questo incontro potrebbe portare a rivivere dei traumi che il cervello aveva in qualche modo nascosto e risvegliare quindi ricordi dolorosi, non sempre facili da affrontare. Inoltre, una maggiore conoscenza di se stessi e dei propri bisogni entra in conflitto con una società sempre più competitiva e basata sulla performance: questa dicotomia mette in discussione un eventuale equilibrio che pensavamo di aver raggiunto.
Maneggiare con cautela. Gli effetti collaterali non offuscano i benefici di una pratica i cui impatti positivi sono stati ampiamente documentati. Pongono, però, una questione etica rispetto alla fruizione della mindfulness. Sarebbe infatti da preferire come accompagnamento a un percorso di psicoterapia più strutturato, piuttosto che come alternativa. Soprattutto in caso di disturbi mentali diagnosticati come la depressione maggiore o i disturbi bordeline di personalità, che potrebbero peggiorare con una pratica meditativa fai da te. Più discutibili diventano quindi le app e i corsi online offerti da coach, dove la mindfulness diventa un prodotto da vendere più che uno strumento in sostegno al proprio benessere.