Da bambini impariamo a contare basandoci su ciò che vediamo: quante mele ci sono qui? Quante matite hai sul banco?
Che ruolo ha la vista nella risoluzione di quesiti matematici? E se fosse importante, come cambia il "pensiero numerico" dei non-vedenti?
La risposta per certi versi sorprendenti è: non cambia. Il circuito cerebrale implicato nell'elaborazione di informazioni matematiche è identico nelle persone con e senza vista, come spiegano i ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora in un articolo pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences.
Non solo: chi è cieco dalla nascita coinvolge nei calcoli, oltre ai circuiti condivisi con chi vede, anche una parte di corteccia visiva normalmente implicata nell'esperienza della vista.
Chiudi gli occhi. I ricercatori hanno chiesto a persone sane o cieche dalla nascita di risolvere, bendate, equazioni matematiche di difficoltà crescente, più alcuni quesiti linguistici. Misurando nel contempo la loro attività cerebrale con risonanza magnetica funzionale (fMRI).
In tutti i volontari, il circuito cerebrale implicato nel ragionamento numerico (e in particolare il solco intraparietale della corteccia) si è attivato preferibilmente durante la risoluzione di equazioni, e in modo proporzionale alla difficoltà.
Riciclo. Ma il dato che più ha stupito gli scienziati è stato un altro. Soltanto nei volontari non vedenti, alcune regioni della corteccia visiva normalmente deputate alla vista si sono attivate in risposta ai quesiti matematici, e in maniera sempre più intensa a mano a mano che la difficoltà aumentava.
La conferma di quanto affermato in alcuni studi passati: la corteccia visiva è incredibilmente plastica e adattiva, e quando non è coivolta nella percezione diretta può essere usata per altri compiti cognitivi, come il linguaggio o il ragionamento numerico.
Il massimo con quello che si ha. In altre parole, alcune parti del cervello rispondono in modo innato al pensiero matematico. Altre, si specializzano invece in base all'esperienza. La scoperta è l'ennesima prova dell'estrema adattabilità della mente, capace di riconfigurare le risorse che di volta in volta ha a disposizione per sfruttarle in un numero pressoché indefinito di compiti.
La sempre maggiore conoscenza della plasticità cerebrale permetterà in futuro di indirizzare sempre più spesso le funzionalità di aree danneggiate ad altre ancora sane, con lo sviluppo di nuove possibilità terapeutiche.