La lingua ascoltata ancora prima di nascere e nei primi mesi di vita si imprime in modo indelebile nel cervello e, in un certo senso, non viene più dimenticata, anche se poi non si avrà più occasione di parlarla nella vita.
La lingua perduta. Ricercatori dell’Istituto Max Planck per la psicolinguistica, in Olanda, hanno studiato un gruppo di adulti cresciuti in famiglie olandesi ma originari della Corea, adottati quando erano piccoli. Tutti capaci di parlare il fiammingo ma non il coreano: quando si è trattato di imparare la lingua di origine, durante un corso, sono stati molto più bravi di altri coetanei nati e cresciuti in famiglie olandesi.
In particolare, secondo i madrelingua coreani che hanno ascoltato le registrazioni e hanno fatto da giudici, le persone adottate sono state in grado di pronunciare meglio alcuni suoni particolari del coreano, che non esistono né in fiammingo nè in inglese, come tre diverse pronunce della “t”, della “p” e della “k”. Queste capacità le ha mostrate sia chi era stato adottato molto piccolo, a meno di sei mesi, sia chi quando era più grande, dopo i 18 anni.
La lingua ritrovata. La conclusione dei ricercatori è che il linguaggio ascoltato prima della nascita e nei primissimi mesi di vita influenzi sia la capacità di percepire i suoni sia quella di produrli. Molto prima che un bambino inizi a parlare, dunque, il suo cervello sarebbe già predisposto per il linguaggio che userà, e anche l’abilità di riconoscere e produrre suoni di una lingua si svilupperebbe assai prima di quanto si pensava.
Neonati sapienti. Che il neonato non venga al mondo come una tabula rasa, ma che nasca già equipaggiato per alcuni compiti cognitivi è qualcosa che molte ricerche hanno ormai appurato con numerosi esperimenti.
Nell’ambito del linguaggio, si è visto per esempio che i neonati preferiscono ascoltare le voci che hanno già sentito mentre si trovavano nella pancia, prima fra tutte la voce della mamma, rispetto a quelle di estranei. Non solo: a pochi giorni dalla nascita mostrano di riconoscere e preferire le lingue con un ritmo simile a quello cui sono stati già esposti, e sono anche in gradi di distinguere lingue tra loro molto simili, come tra catalano e castigliano.
Il nuovo studio conferma non solo le abilità linguistiche dei neonati ma anche che, al contrario di quanto si poteva supporre, la “conoscenza” di una lingua, anche se interrotta sul nascere, non svanisce nel nulla ma lascia una traccia riconoscibile anche in età adulta.