Psicologia

L'infanzia difficile riduce il volume del cervello

I bambini che vivono un'infanzia segnata da abbandono, deprivazioni e assenza di cure, vanno incontro a conseguenze durature per il loro cervello.

I bambini che hanno vissuto forme estreme di abbandono e deprivazione sperimentano una riduzione del volume cerebrale duratura, visibile anche in età adulta e apparentemente non sanata dalla neuroplasticità - la capacità del cervello di modificare la sua struttura in funzione delle esperienze vissute.

È quanto emerge da uno studio basato sulle scansioni cerebrali di decine di "orfani di Ceauşescu", giovani adulti che trascorsero la prima parte dell'infanzia negli orfanotrofi sovraffollati e fatiscenti della Romania durante il regime comunista di Nicolae Ceauşescu (1966-1989). La ricerca è stata pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences.

Figli per la patria. Fedele al dogma che vedeva nella crescita della popolazione un volano per lo sviluppo economico, nel 1966 Ceaușescu mise fuori legge l'aborto per le donne sotto i 42 anni che avessero meno di quattro figli. Evitare attivamente di avere figli fu paragonato a un atto di diserzione; la contraccezione fu ostacolata e i divorzi divennero sempre più difficili da ottenere.

Chiunque fosse senza prole fu condannato a pagare una tassa. La diffusione dell'AIDS crebbe esponenzialmente, così come il numero dei bambini non riconosciuti e abbandonati negli orfanotrofi. Le condizioni di queste strutture, con luce e riscaldamento intermittenti, malattie non curate, scarsità di cibo e bisogni emozionali semplicemente ignorati, emersero solo alla caduta del regime.

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Adolescenza: il legame genetico tra povertà e depressione. © pimchawee / Shutterstock

Effetti persistenti. Secondo alcune stime furono almeno 100 mila i bambini costretti a trascorrere mesi o anni in queste condizioni. Studi precedenti si erano concentrati sulle loro difficoltà cognitive (in parte superate con l'età adulta) come sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), ansia e depressione. Un gruppo di scienziati del King's College London ha ora analizzato le scansioni cerebrali di 67 orfani della Romania di allora adottati da famiglie britanniche dopo aver trascorso dai 3 ai 41 mesi in gravi condizioni di abbandono e privazione dei diritti fondamentali nelle strutture descritte.

Gli esami di imaging cerebrale dei ragazzi di età compresa tra i 23 e i 28 anni sono stati confrontati con quelli di 21 coetanei adottati all'interno del Regno Unito entro i sei mesi di età. I giovani del primo gruppo mostravano un volume cerebrale dell'8,6% inferiore rispetto a quelli del secondo gruppo. Ogni mese in più trascorso in condizioni di deprivazione estrema era collegato a una riduzione ulteriore di volume cerebrale di 3 cm cubi, un fenomeno che potrebbe spiegare parte dei disturbi cognitivi riscontrati negli studi passati.

Differenze ulteriori. Il dato forse più sorprendente è la durata di questo fenomeno nel tempo, nonostante le cure e le attenzioni ricevute dalle famiglie adottive: un fatto che mostra i limiti della neuroplasticità, che pure è particolarmente spiccata in età giovanile, nonché l'importanza che il contesto di crescita ricopre per i bambini. Oltre alla riduzione generale del volume del cervello, primo e secondo gruppo hanno mostrato differenze strutturali in tre regioni cerebrali, collegate all'organizzazione, alla motivazione e all'integrazione tra informazioni e memoria. Il team è inoltre rimasto sorpreso di non aver trovato differenze sostanziali nell'amigdala, una struttura coinvolta nell'elaborazione delle emozioni.

Un nesso sempre più chiaro. Anche se lo studio non può provare con certezza che la deprivazione dei bisogni fondamentali durante l'infanzia porti a una riduzione del volume cerebrale, ciò è comunque assai probabile: meccanismi come l'assenza di esperienze fondamentali per lo sviluppo cerebrale o lo stress cronico potrebbero in parte spiegare questa correlazione. Altri fattori come la genetica, lo sviluppo durante la gravidanza, o la sola malnutrizione non bastano invece a dare ragione del fenomeno.

12 gennaio 2020 Elisabetta Intini
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