È passato quasi un secolo (era il 1921) da quando Hermann Rorschach, psichiatra svizzero di stampo freudiano, pubblicò le immagini base del suo test di personalità basato sull'interpretazione di macchie di inchiostro, che avrebbe avuto grande fortuna nei decenni successivi.


Benché l'affidabilità diagnostica delle macchie di Rorschach goda ormai di poco credito, uno studio recente ha stabilito come mai quegli schizzi di inchiostro evocassero così facilmente oggetti e figure nei pazienti che le vedevano.
Il segreto è nella loro semplicità: analizzando le 5 macchie in bianco e nero del test originale, Richard Taylor dell'Università dell'Oregon si è accorto che minore è la loro complessità frattalica - cioè il numero di strutture finemente dettagliate ripetute nell'immagine - maggiore è la quantità di figure conosciute che questa evoca.
Semplice (ma non troppo). Anche se le macchie nere analizzate sono tutte di bassa complessità, quella più semplice evoca circa 300 diverse immagini, contro le 170 di quella più complessa. Un certo grado di dettagli frastagliati è però necessario, o di nuovo il potere evocativo della figura si azzera. Il risultato, forse un po' controintuitivo, potrebbe fornire strumenti utili per lo studio del sistema visivo umano e dei materiali mimetici.