Come fa il cervello a contare il tempo, soprattutto quello più breve? Una nuova ricerca sembra dimostrare che si affida a stimoli esterni e non a una sorta di orologio interno.
![]() |
La scoperta dei meccanismi che regolano la percezione del tempo da parte del cervello potrebbero aiutare a curare la dislessia. |
Cronometro misura-pause
Scrivere, comprendere una persona che parla e camminare sono azioni che richiedono al cervello un continuo “cronometraggio” degli infinitesimali intervalli di tempo che le scandiscono. Per esempio, quando ascoltiamo qualcuno che parla è necessario, perché le parole siano distinguibili le une dalle altre, che il cervello calcoli gli impercettibili vuoti tra la fine di una parola e l’inizio di un’altra.
Il cervello si confonde
Fino ad ora si è sempre pensato che il cervello facesse affidamento a un orologio interno, costituito da cellule “segnatempo” in grado di produrre regolari impulsi elettrici. La tesi sostenuta dal ricercatore è diversa, e per dimostrarla ha sottoposto alcuni volontari all’ascolto di gruppi di tre suoni: il secondo e il terzo separati da pause di uguale durata, il primo a distanza variabile. Risultato: le pause fisse venivano percepite come variabili a causa dell’azione distraente della prima pausa. Secondo Buonomano ciò che permetteva ai soggetti di stimare (anche sbagliando) i brevissimi intervalli di tempo era la capacità del cervello di confrontare tra loro i tempi impiegati dagli impulsi nervosi prodotti dall’ascolto dei suoni per giungere a destinazione. In altre parole, nel contare il tempo il cervello si affiderebbe a stimoli esterni e non a un orologio interno.
Una terapia per la dislessia?
La scoperta, secondo i ricercatori, è decisamente importante. Potrebbe infatti aprire la strada a nuove terapie per patologie neurologiche come la dislessia che, a quanto si sa, sembra essere legata all’incapacità del cervello di gestire queste frazioni di secondo, con conseguenti disturbi del linguaggio.
(Notizia aggiornata al 5 febbraio 2007)