L'isolamento sociale adottato come misura di contrasto alla pandemia nei primi mesi di covid potrebbe aver influito negativamente, anche se non in maniera eclatante, sui tempi di "conquista" delle prime abilità comunicative dei pandemic babies, i bambini venuti alla luce in pieno lockdown. Lo sostiene uno studio osservazionale (cioè che si limita a osservare quello che avviene nella realtà) pubblicato online sulla rivista scientifica Archives of Disease in Childhood.
Parole dietro alle mascherine. Lo sviluppo del linguaggio nei bambini è un processo complesso, che si appoggia in gran parte sull'osservazione degli adulti durante le interazioni tra i bambini e chi si prende cura di loro. I più piccini tendono ad osservare soprattutto gli occhi dei "grandi", mentre crescendo si focalizzano soprattutto sui movimenti della bocca. Ecco perché la necessità di indossare le mascherine e limitare i contatti sociali nei primi mesi di pandemia, prima dell'avvento dei vaccini anti-covid, potrebbe aver ridotto la possibilità di basarsi su questi indizi visivi, rallentando l'apprendimento delle prime parole.
Passaggi di crescita. Un team di psicologi del Royal College of Surgeons di Dublino ha analizzato le valutazioni sulle tappe dello sviluppo riferite dai genitori di 309 bambini nati tra marzo e maggio 2020, formulate quando i piccoli avevano 12 mesi di età. I dati sono stati presi dallo studio CORAL (Impact of CoronaVirus Pandemic on Allergic and Autoimmune Dysregulation in Infants Born During Lockdown) condotto in Irlanda nei mesi dei lockdown più stringenti in Europa.
Le 10 tappe dello sviluppo includevano l'abilità di gattonare, di camminare di lato appoggiandosi ai mobili, di stare in piedi da soli, di afferrare piccoli oggetti tra pollice e indice, di accatastare mattoncini, di nutrirsi con le mani, di conoscere il proprio nome, di saper esprimere almeno una parola definita e di senso, di puntare gli oggetti col dito e di salutare con la mano.
Effetto lockdown. Queste piccole grandi conquiste sono state confrontate con quelle riferite, sempre attorno all'anno di età, dai genitori di altri 1.629 bambini coinvolti nello studio BASELINE (Babies After SCOPE: Evaluating the Longitudinal Impact using Neurological and Nutritional Impact), che riguarda i nati in Irlanda tra 2008 e 2011.
I bambini del primo studio sono risultati un po' in ritardo su alcune tra le abilità elencate, in particolare su quelle relative alla comunicazione e alle abilità sociali. Se da un lato, più bambini dello studio CORAL erano in grado di gattonare al compimento dell'anno di età (97,5% rispetto al 91% del secondo gruppo), erano anche meno capaci di esprimere una parola di senso e ben riconoscibile (77% contro l'89% dello studio BASELINE), meno abili nell'indicare oggetti con un dito (84% contro 93%) e salutare con la mano (88% contro 94,5%).
Nessuno da salutare. Dopo aver tenuto conto di altri fattori che potessero influire su questi momenti della crescita, come l'età del bambino all'epoca del questionario, la presenza o meno di fratelli, l'età gestazionale al momento del parto e l'istruzione materna, le differenze tra i due gruppi erano ancora evidenti.
Gli scienziati hanno immaginato possibili spiegazioni che non sono però state verificate sperimentalmente. La maggiore capacità di gattonare dei pandemic babies potrebbe dipendere dall'aver trascorso più tempo in casa sul pavimento, anziché fuori sul passeggino o in auto. La ridotta quantità di volti senza mascherina vista nei primi mesi di vita potrebbe aver contribuito ad assottigliare il repertorio linguistico (perché si vedevano meno bocche in movimento); la scarsità di oggetti di interesse da indicare potrebbe derivare dalla fase in cui le uscite erano contingentate. Inoltre, se di solito la frequenza di contatti sociali incoraggia i piccoli ad apprendere il saluto, nei mesi di lockdown è... mancato l'allenamento.
Veloce recupero. I bambini sono curiosi e pieni di risorse ed è assai probabile che la ripresa delle normali attività sociali - grazie ai vaccini - possa colmare questo svantaggio. Tuttavia, concludono gli autori dello studio, sarebbe opportuno seguire questa popolazione di bambini fino all'età scolare, per capire quanto duraturo sia l'effetto osservato e intervenire in caso di necessità.