Tra chi pratica attività sportiva a livello professionale, giocare in squadra è un fattore protettivo per la salute mentale: gli atleti individuali sono più inclini alla depressione rispetto a chi è membro di una squadra, come sostengono una serie di ricerche condotte dalla Technical University di Monaco (Germania).
«Gli atleti individuali attribuiscono i fallimenti più a se stessi di quanto non facciano gli atleti di squadra» spiega Jürgen Beckmann, psicologo dello sport tra gli autori della ricerca. «In una squadra c'è diffusione di responsabilità».
Confronto. In uno degli studi sono stati misurati i sintomi depressivi (senso di colpa, tristezza e pensieri suicidi) di 128 giocatori di hockey e calciatori tedeschi, e di 71 giovani atleti individuali tra cui nuotatori, giocatori di badminton e velocisti sul ghiaccio. Nel secondo gruppo i sintomi depressivi sono apparsi molto più marcati che nel primo.
Gli unici responsabili. In un altro studio condotto su 162 atleti di esperienza, chi praticava sport individuali come il triathlon, il golf o il ciclismo ha evidenziato maggiori sintomi di depressione rispetto ai giocatori di pallavolo, rugby e calcio. In generale, gli atleti singoli tendono a incolpare se stessi dei propri fallimenti.
Lenta erosione. Proprio questa attribuzione interna finisce per rendere più intense le esperienze di emozioni come l'orgoglio in caso di vittoria, o i sensi di colpa e la vergogna in caso di sconfitta. La depressione è anche collegata a tempi maggiori di ripresa dagli infortuni. Sorprendentemente, le ricerche hanno anche riscontrato una tendenza al perfezionismo più negli atleti di squadra, che in quelli singoli.
Fragili. Il dato più preoccupante riguarda i giovani atleti. Durante l'adolescenza, la percentuale di atleti singoli con sintomi depressivi può raggiungere il 20% (nella popolazione normale oscilla tra il 9 e il 12%). Serviranno più programmi di screening, per aiutare gli sportivi in erba a riconoscere e quindi combattere la tendenza all'isolamento.