Molti pensano che l'epidemia dilagante di fake news (e di creduloni) sia dovuta al fatto che tendiamo a leggere e a condividere prevalentemente ciò che conferma le nostre vedute. Uno studio condotto su oltre 3.000 persone suggerisce però anche un'altra, possibile risposta: potremmo essere facili prede delle bufale per una sorta di pigrizia mentale, o resistenza a impegnarci in un ragionamento deliberato su un tema.
La via più breve. L'essere umano è maestro nel fare economia: ove possibile tendiamo a risparmiare risorse, anche quando si tratta "soltanto" di pensare. Il pensiero automatico è veloce, richiede il minimo sforzo e permette di utilizzare le nostre limitate risorse mentali in altri compiti. Queste scorciatoie possono essere utili in alcune situazioni, ma l'altra faccia della medaglia è la maggiore facilità di cadere in eccessive semplificazioni, inscatolati nei pregiudizi.
Quali di queste è vera? Per vederci chiaro, gli psicologi David Rand (MIT Sloan School of Management) e Gordon Pennycook (University of Regina Hill-Levene, Usa), hanno sottoposto oltre 3.000 volontari a un compito chiamato Cognitive reflection test (CRT), che misura la capacità di ciascuno di mettere in discussione le proprie "reazioni di pancia".
Dopodiché a ognuno sono stati mostrati alcuni post di Facebook che veicolavano una notizia vera, una fake news in linea con le opinioni politiche del soggetto o una contraria: i volontari hanno dovuto dire quanto ritenevano accurata ciascuna notizia.
Le persone più riflessive, che avevano totalizzato punteggi più alti nel primo test, sono state anche più abili a distinguere le bufale, a prescindere dal loro contenuto politico. Quelle meno riflessive ci sono cascate più spesso, perché più inclini a credere a tutto quello che leggevano.
Rallenta. Se le conclusioni della ricerca, pubblicata su Cognition, fossero confermate, sarebbe dunque più una questione di disattenzione o pigrizia, che di intelligenza: «La tendenza a impegnarsi nel ragionamento è altra cosa, rispetto alle abilità di ragionamento», spiega Rand. «Quando ti fermi a pensare potresti giungere alla risposta corretta o a quella sbagliata, ma a prescindere da questo, ti importa, fermarti a pensarci un attimo?»
Il risvolto positivo è che "istigare" le persone a fermarsi a pensare (anche sui social) potrebbe essere più semplice che invitarli a essere meno "di parte" o costringerli esplicitamente a rivedere i propri pregiudizi.