La gioia è un potente motore della vita, ci spinge a migliorare, a essere curiosi e aperti al mondo: è l’emozione che più di tutte ha reso l’uomo creativo, portandolo a evolversi attraverso scoperte e conquiste. Recentemente, Barbara Fredrickson, psicologa dell’Università del North Carolina (Usa), ne ha teorizzato due scopi essenziali: il primo è la riduzione degli effetti dannosi delle emozioni negative, per riprendersi prima dalle loro conseguenze; il secondo è l’allargamento degli orizzonti di pensiero, che aumenta la flessibilità, migliora l’elaborazione delle informazioni, ci rende più creativi.
«Paura o rabbia ci focalizzano su un solo elemento a cui reagire. La gioia, al contrario, fa vedere la foresta anziché l’albero: ci apre all’esplorazione, alle esperienze», afferma Anna Maria Meneghini, ricercatrice in psicologia all’Università di Verona. «Questo è stato fondamentale nell’evoluzione, ma lo è anche nei rapporti sociali: chi vive più di frequente emozioni positive ha relazioni più soddisfacenti e un maggior sostegno sociale. In più, costruisce risorse, competenze e sa individuare un maggior repertorio di soluzioni ai problemi, creando una spirale positiva di miglioramento di sé.»
Gioia o felicità? La spinta alla crescita interiore è tale che non sorprende ritrovare riferimenti alla gioia in filosofie e religioni diversissime: è fondamento della cristianità (tanto da far dire a Papa Francesco che «il cristiano è uomo e donna di gioia») e del buddismo, ma si ritrova come protagonista pure negli scritti dei filosofi greci, da Epicuro ad Aristotele. Occorre però intendersi sul significato che diamo alla parola: perfino oggi, dopo anni di studi in psicologia positiva, non c’è accordo sulla differenza fra gioia e felicità.
«La prima è certamente una condizione transitoria, un’emozione del momento», spiega Antonella Delle Fave, docente di psicologia generale all'Università di Milano. «La felicità è diversa, ma definirla è difficile: abbiamo condotto uno studio su oltre tremila persone in vari Paesi, chiedendo a ciascuno che cosa fosse la felicità. E mentre per alcuni è assimilabile alla provvisorietà della gioia, per altri è uno stato meno fugace ed effimero. Le influenze culturali contano molto: in inglese, felicità si traduce con happiness, che ricorda il verbo to happen (accadere) e rimanda a un evento passeggero; in italiano la radice è la stessa di fecondo, fertile, quindi richiama più una condizione di prosperità a lungo termine.»
Per Anna Maria Meneghini «nel senso comune gioia e felicità sono termini intercambiabili, ma secondo gli studiosi la seconda è un “ombrello” sotto cui ci sono altri sentimenti positivi, che dipendono molto dal contesto culturale.
L’idea di felicità di una società individualistica come quella occidentale, per esempio, coincide con il raggiungimento dei propri scopi e di successi personali; nelle società collettivistiche come quella giapponese, invece, la felicità è più condivisa, legata all’equilibrio delle relazioni, dei legami personali e sociali. Le manifestazioni emotive sono attenuate, perché mostrare la propria gioia potrebbe far soffrire l’altro».
Quando il cervello esulta. Di certo, invece, è comune a tutti ciò che accade nel cervello quando proviamo gioia, emozione primaria proprio perché innata e universale: si attivano aree cerebrali specifiche correlate al piacere. All’esterno, invece, si hanno manifestazioni simili in chiunque e ovunque, come il sorriso, le guance rialzate, gli occhi mobili. Fin da neonati: la gioia è una delle prime emozioni espresse dai piccolissimi e da subito è importante per comunicare. Le emozioni sono infatti state selezionate dall’evoluzione perché l’uomo possa adattarsi all’ambiente, anche informando gli altri del proprio stato d’animo, come già aveva intuito Charles Darwin quando, nel 1872, scrisse L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali. La gioia, in particolare, è suscitata dalla presenza di stimoli coerenti con i propri bisogni.
Allenare la positività. «Al netto delle differenze culturali che portano a esternarla in modi diversi, l’espressione di questa emozione non deve essere inibita», osserva Pio Enrico Ricci Bitti, docente emerito di psicologia dell’Università di Bologna. «Il blocco delle manifestazioni emotive sollecita negativamente organi e funzioni e, alla lunga, può dare malesseri o perfino disturbi psichici. Da qui la necessità di imparare a riconoscere le proprie emozioni, dargli un nome, gestirle sviluppando l’intelligenza emotiva.»
Questa capacità si può imparare, così come la “tendenza alla gioia”: alcune caratteristiche del temperamento, come l’essere estroversi e avere fiducia in se stessi, aiutano a provare più spesso emozioni positive. Ma chiunque può diventare più “gioioso”, come insegnano i molti casi di persone toccate da problemi anche gravi, che riescono comunque a trovare la felicità nella propria vita.
«Non si può intervenire direttamente sulle emozioni, che sono risposte immediate agli eventi, ma si può migliorare il benessere e, per esempio, diventare più consapevoli di ciò che di bello abbiamo, per aprirci di più alla gioia», spiega Antonella Delle Fave. «Questo è l’obiettivo della cosiddetta psicoterapia del benessere, che accompagna la psicoterapia classica ed è spesso offerta a chi deve affrontare difficoltà gravi o malattie croniche importanti.
A maggior ragione, chiunque di noi dovrebbe essere più attento agli aspetti positivi della vita e gli “esercizi” per farlo sono tanti: dallo scrivere lettere a chi ci ha fatto del bene al three blessing, con cui alla sera ci si obbliga a fare mente locale su tre eventi o cose buone del giorno appena trascorso per aumentare il senso di gratitudine. L’obiettivo deve essere coltivare la positività.»
Strategie personali. Ognuno può farlo a suo modo, tenendo conto di carattere, attitudini ed esperienze. Per alcuni le tecniche di rilassamento possono essere una porta verso la gioia, per altri può essere più utile condividere la propria esperienza per poterla vedere attraverso occhi diversi e (ri)valutarne gli aspetti migliori, per altri ancora può servire il “diario delle emozioni” che aiuta a leggersi dentro e a trovare le parole per tradurre gli stati d’animo.
L’importante è non esagerare, perché – potrà sembrare strano – ma pure troppa gioia o felicità fanno male: una visione positiva della vita facilita il funzionamento mentale, ma l’eccesso cronico di ottimismo ed euforia può portare a pensieri irrealistici e ad accettare sfide eccessive.
Articolo elaborato sulla base di un lavoro di Elena Meli, da Focus EXTRA 76.