Nel 1998 il neuroscienziato tedesco-statunitense Christof Koch e il filosofo australiano David Chalmers si impegnarono in una scommessa alcolica. Koch si disse sicuro che grazie ai progressi scientifici dell'epoca, entro 25 anni da allora - cioè per il 2023 - il meccanismo attraverso il quale i neuroni nel cervello producono la coscienza sarebbe finalmente stato chiaro.
Pochi giorni fa, il 23 giugno, nel corso del meeting annuale dell'Association for the Scientific Study of Consciousness (ASSC) a New York, Koch ha ammesso la sconfitta: evidentemente era stato troppo ottimista.
chi aveva ragione? A stabilire chi fosse il vincitore ha contribuito uno studio che ha testato le due ipotesi principali sulle origini neurali della coscienza, i cui risultati sono stati svelati nel corso del convegno. Anche se una delle ipotesi appare più convincente dell'altra, i risultati non sono ancora definitivi e restano importanti nodi da sciogliere. Insomma la questione rimane, a 25 anni da quella famosa scommessa, tutt'altro che risolta, e dunque aveva ragione Chalmers.
Uno degli ultimi misteri. La coscienza è spesso definita come "la consapevolezza che il soggetto ha di sé stesso e del mondo esterno con cui è in rapporto, della propria identità e del complesso delle proprie attività interiori" (fonte: Treccani). In che modo il cervello la produca, rimane un mistero filosofico, che dopo decenni di ricerca riusciamo comunque solo in parte ad afferrare.
A rendere Koch fiducioso sui progressi della scienza, 25 anni fa, c'erano la prima diffusione della risonanza magnetica funzionale (fMRI) nei laboratori di tutto il mondo, nonché la comparsa dell'optogenetica, la tecnica che permette di stimolare set specifici di neuroni nel cervello degli animali studiati come modello nelle neuroscienze.
Uno stimolo per progredire. Nel frattempo, Koch, neuroscienziato computazionale che dirige l'Allen Institute for Brain Science di Seattle, Washington, e Chalmers, codirettore del Center for Mind, Brain and Consciousness della New York University, hanno istituito una collaborazione scientifica supportata dalla Templeton World Charity Foundation che ha il compito di spingere i ricercatori di tutto il mondo a collaborare per testare le teorie prevalenti sulle origini della coscienza, accelerando la ricerca in questo campo.
L'idea è allestire esperimenti "concorrenti" per mettere alla prova le varie ipotesi e spingere ricercatori rivali a collaborare alla progettazione dei rispettivi studi, lavorando così a un obiettivo comune.
Due modelli prevalenti. Al recente meeting sono stati portati i risultati, non ancora pubblicati, di uno di questi esperimenti, a cui hanno partecipato sei laboratori indipendenti inclusi quelli di Koch e Chalmers.
Sul piatto due ipotesi: la teoria dell'informazione integrata (Integrated Information Theory, IIT) e la teoria dello Spazio di Lavoro Globale (GNWT).
Come spiegato su Nature, secondo la IIT la coscienza sarebbe una "struttura" cerebrale stabile, formata da un tipo specifico di connettività neurale attiva fintanto che una certa esperienza, come guardare un'immagine, è in corso. Questa struttura sarebbe localizzabile nell'area posteriore della corteccia cerebrale.
La GNWT suggerisce invece che la coscienza emerga quando l'informazione è trasmessa ad alcune aree cerebrali attraverso un circuito di neuroni interconnessi. La trasmissione dell'informazione avverrebbe all'inizio e alla fine dell'esperienza e coinvolgerebbe la corteccia prefrontale, nella parte anteriore del cervello.
Nessun vero vincitore. I risultati degli esperimenti non permettono di avvalorare con sicurezza nessuna delle due ipotesi, sebbene l'IIT ne sia uscita un po' meglio. I test sembrano infatti concedere l'esistenza della "struttura" teorizzata, in quanto le aree della corteccia posteriore mostrano in effetti di contenere informazione in modo sostenuto, ma non sono state trovate prove della sincronizzazione tra aree cerebrali ipotizzata nel modello.
Per quanto riguarda la GNWT, si è visto che alcuni aspetti - ma non tutti - della coscienza possono afferire alla corteccia prefrontale. E che c'è in effetti una trasmissione di informazioni all'inizio di un'esperienza, ma non alla fine come predetto. Entrambi i modelli andrebbero dunque ripensati alla luce di quanto emerso, e nessuno ne esce del tutto trionfante: resta ancora molto da indagare.
Troviamoci tra 25 anni... Molto sportivamente, Koch ha pagato la scommessa all'amico con una cassa di pregiato vino portoghese. Ma da inguaribile ottimista ha rilanciato: «Raddoppio», ha detto. «Venticinque anni da ora è realistico, perché le tecniche stanno migliorando e non posso aspettare molto più di così, data la mia età».