Alcune forti emozioni, oppure certe patologie psichiatriche o, ancora, alcune droghe, possono realmente produrre una percezione distaccata di noi stessi dal nostro corpo: uno stato noto alla scienza come "depersonalizzazione". Un doppio esperimento, condotto alla University College di Londra e all'Istituto Federale di Tecnologia di Losanna (Svizzera), ha permesso di ricostruire le dinamiche di questo fenomeno, inducendolo senza l'uso di farmaci e senza agire direttamente sul cervello.
Andrea Porta, 31 agosto 2007
Questa scoperta permetterà di realizzare simulatotori più realistici e videogiochi con effetto tridimensionale, ma offrirà anche nuove applicazioni in medicina, per esempio in chirurgia. |
Quando diciamo che qualcuno è "fuori di sé" intendiamo che è in preda a sentimenti violenti che lo rendono quasi pazzo. Ma non è solo un modo di dire. Le esperienze di depersonalizzazione (definite anche OOBE, ossia out-of-body experiences, cioè esperienze extracorporee) sono episodi in cui un soggetto ha la netta percezione di osservare la realtà dall'esterno del proprio corpo, arrivando addirittura ad avere la sensazione di vederlo da fuori. Statisticamente le esperienze extracorporee non sono rare: secondo le ricerche una persona su dieci ha sperimentato un caso di depersonalizzazione almeno una volta nella vita, spesso dopo l'assunzione di allucinogeni o in seguito a eventi traumatici, come un incidente automobilistico. L'esperimento condotto dal team inglese ha preso a campione una serie di soggetti sani a cui venivano applicati speciali occhiali simili a quelli impiegati nelle simulazioni di realtà virtuale. Alle spalle dei soggetti, a due metri di distanza, erano collocate due telecamere che riprendevano il soggetto da angolazioni leggermente diverse. Le immagini venivano trasmesse agli occhiali, una per lente, così da proporre al soggetto la sua immagine tridimensionale vista da dietro.
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Nel corso dell'esperimento, talvolta il ricercatore toccava con una bacchetta il petto del soggetto, che poteva così avvertire la sensazione tattile e contemporaneamente osservare la scena di fronte a sé. Altre volte invece le telecamere si spegnevano e al soggetto veniva presentato un filmato tridimensionale precedentemente registrato in cui un manichino, nella sua stessa posizione, veniva toccato dal ricercatore. Con grande sorpresa degli scienziati, anche in questo caso il soggetto avvertiva il tocco. In un esperimento parallelo, condotto dai ricercatori svizzeri, ai soggetti esaminati veniva applicato anche un misuratore della traspirazione della pelle. Nel momento in cui l'immagine virtuale era "messa in pericolo" da una qualche minaccia (per esempio un oggetto lanciatole contro) i soggetti provavano una sensazione di stress che si esprimeva con una accresciuta sudorazione. E questo è stato interpretato come un'altra dimostrazione di come nella mente dei soggetti l'immagine di sé prendesse il posto del corpo reale.
Dal laboratorio ai videogame
«Tutti i partecipanti», afferma Henrik Ehrsson, coordinatore dello studio inglese, «hanno affermato di aver vissuto la sensazione di trovarsi realmente al di fuori di sé, il che dimostra come la percezione del proprio corpo sia fortemente condizionata dal fatto che siamo abituati a vedere il mondo "in soggettiva"» A sentire i ricercatori, queste scoperte aprono la strada ad applicazioni industriali più che psichiatriche o neurologiche. Permetteranno ad esempio di realizzare simulatori più realistici e videogiochi in cui i giocatori potranno "entrare". Ma potrebbero avere anche importanti applicazioni mediche, dando al chirurgo - per esempio - la possibilità di operare a distanza avendo però la percezione di essere davanti al paziente.