Ogni genitore ha la sua storia da raccontare su quali siano state le prime parole pronunciate dal figlio, se le classiche “mamma”, “papà”, “bau” oppure altre più strane e almeno apparentemente imprevedibili.
I ricercatori della Stanford University e del MIT di Boston hanno però un approccio diverso e hanno messo in piedi un gigantesco esperimento di raccolta dati per cercare di comprendere da quali parole è più probabile che un bambino inizi a parlare scegliendo dai milioni di parole che sente pronunciare intorno a sé nei primi mesi della sua vita.
Dopo avere seguito e documentato la vita di un bimbo da nove mesi a tre anni gli psicologi americani propongono un’ipotesi: che le prime parole pronunciate siano non quelle che il bambino ha sentito più spesso, ma quelle udite in differenti contesti della vita quotidiana, a diverse ore del giorno e in vari tipi di conversazione.
On the record. I ricercatori hanno accumulato 200mila ore di registrazione nella casa di una famiglia, dalla nascita del bambino, un maschietto, fino ai tre anni, dieci ore di registrazione al giorno trascritte quasi interamente a mano. In questo lasso di tempo, a portata di orecchio del bambino sono state pronunciate 8 milioni di parole.
Dalla prima parola, “mama”, detta a 9 mesi, fino ai due anni (l’intervallo di tempo preso in considerazione per lo studio), il piccolo ha pronunciato 679 parole. Tutti i dati raccolti sul linguaggio sono poi stati analizzati e classificati in base alla stanza della casa nella quale le parole erano state pronunciate, a quale ora, e quali erano le parole pronunciate nel resto della conversazione.
Parole quotidiane. Dall’esame dei dati, i ricercatori hanno concluso che le parole udite più frequentemente dal bambino non necessariamente sono quelle che vengono imparate per prime. Anche se l’esposizione a una certa quantità di linguaggio è un prerequisito necessario per imparare una lingua (tradotto banalmente, perché i bambini imparino bisogna che siano immersi nel linguaggio), a contare di più è la qualità del parlato e l’interazione con le persone. Si sa già da diversi altri esperimenti, condotti però in laboratorio e non nella vita quotidiana, che una lingua viene imparata più facilmente quando è integrata in un contesto di attività sociali, e che il tempo in cui ci si rivolge direttamente a un bambino è più importante per l’apprendimento del tempo passato in generale ad ascoltare il linguaggio. E questo è anche uno dei motivi per cui non basta mettere un bambino a guardare per ore dei cartoni animati in inglese perché lo impari.
Conversazioni. Il nuovo studio (anche se condotto su un solo bambino) è il primo che fornisce un fondamento empirico importante a questa ipotesi sull’apprendimento del linguaggio: i bambini imparano a parlare attraverso conversazioni della vita quotidiana, nell’interazione e nella socialità con gli adulti, non in modo astratto. E le parole che imparano prima sono quelle che vengono usate in attività di routine come i pasti o il gioco (“colazione” e “calcio” sono state tra le prime pronunciate dal bambino dello studio) oppure quelle che vengono usate in contesti diversi e in diversi tipi di conversazione (come “Ciao”).