La covid non esiste e i vaccini servono solo a controllare la popolazione; sulla Luna non ci siamo mai andati; la Terra è piatta... La lista delle teorie sostenute dai complottisti non finirebbe certo qui: come si può spiegare la mentalità complottista che pervade, da sempre, la nostra società? «In realtà, il pensiero cospirativo è un'abitudine quotidiana. Spesso non ce ne accorgiamo, perché i nostri complottismi non riguardano le idee più assurde, ma il meccanismo di molti pensieri è del tutto simile: i complotti, in pratica, fanno leva su paure, dubbi, preoccupazioni che sono in ognuno di noi. E il nostro cervello cade in trappole di cui non ci accorgiamo», spiega Rob Brotherton, psicologo al Barnard College della Columbia University, a New York, e autore di Menti sospettose (Bollati Boringhieri).
Complotti di politici e potenti? È anche vero che spesso le teorie del complotto nascono in un mondo che ha buoni motivi per essere sospettoso nei confronti di chi detiene il potere. La storia e la cronaca ci dimostrano che presidenti possono mentire, amministrazioni e aziende possono complottare per raggiungere i propri scopi o per garantirsi guadagni illeciti, generali possono falsificare prove per scatenare guerre, servizi segreti possono spiare i propri cittadini o assassinare leader rivali o scomodi per toglierli di mezzo o rimpiazzarli con altri più manovrabili. Dunque, essere sospettosi non è necessariamente un male.
«Non è vero, come si sosteneva un tempo, che chi crede alle teorie del complotto debba necessariamente essere un paranoico», continua Brotherton: «possiamo crederci tutti, proprio perché queste teorie fanno leva su paure, dubbi, preoccupazioni e sospetti che tutti possiamo nutrire e che non di rado sono fondati. È anche vero che, in chi sostiene le idee più estreme, si possono trovare alcuni tratti comuni. Spesso c'è il desiderio di abbracciare posizioni che sfidano il mainstream e che sembrano regalare una patente di "pensatore indipendente". Ma se uniamo questa aspirazione, umanamente comprensibile, alla nostra tendenza a trovare significati ovunque, ecco che il risultato è un'illusione di comprensione.»
Eroi del nulla. Sovrastimando il poco che si sa veramente circa un dato problema, cioè, ci si illude di avere "visto la luce", di avere capito tutto e di avere scoperchiato qualche enorme segreto gelosamente custodito dai potenti. Ci si sente come eroi, novelli Robin Hood che combattono contro il malvagio sceriffo di Nottingham, senza accorgersi che, come Don Chisciotte, probabilmente si sta solo agitando la spada contro mulini a vento.
«Noi tutti, ogni giorno, cerchiamo di spiegare il mondo che ci circonda e lo facciamo con gli strumenti che abbiamo a disposizione», continua lo psicologo. «Cerchiamo significati nelle cose, cerchiamo collegamenti, perché la nostra mente si è evoluta proprio per questo scopo, e li troviamo praticamente sempre. È un meccanismo che funziona benissimo, il più delle volte. Il problema, però, è che ogni tanto scoviamo connessioni anche dove non ci sono.»
e se fosse per caso? Il nostro cervello è infatti il prodotto di un lunghissimo processo evolutivo. I primi sapiens che trovavano spiegazioni e soluzioni ai problemi che li circondavano riuscivano a sopravvivere meglio e, così, trasmettevano ai discendenti lo stesso tipo di atteggiamento. Anche la scienza, così come l'arte, nasce dalla capacità umana di vedere e intuire connessioni e collegamenti tra cose che sembrano del tutto scollegate. Solo che, in certe situazioni, questa tendenza può portarci fuori strada. «Tutti ricorriamo a scorciatoie cognitive che, spesso, altro non sono che trappole mentali in cui caschiamo senza nemmeno accorgercene», afferma Brotherton. «Siamo portati per esempio a pensare che dietro ogni cosa ci sia un'intenzione, una volontà: è molto più difficile pensare che a volte le cose capitino semplicemente per caso. Preferiamo credere che se qualcosa succede è perché qualcuno ha fatto in modo che succedesse.»
In particolare, se capita qualcosa di grosso nel mondo, allora tendiamo a pensare che dietro ci debba essere sempre qualcosa di grosso. Accettare che dietro l'assassinio di un presidente, com'è accaduto con Kennedy, possa esserci semplicemente uno squilibrato di cui nessuno sapeva nulla, è per molti inaccettabile. Così come è inconcepibile pensare che una principessa amatissima come Diana possa essere morta in un banale incidente automobilistico o che l'11 settembre un gruppetto di terroristi possa avere messo in ginocchio la più forte potenza mondiale.
Kennedy e Reagan. È in azione il bias di proporzionalità e spiega, tra l'altro, come mai non ci sia praticamente nessuna teoria del complotto dietro un altro attentato a un presidente americano. Quando uno squilibrato sparò a Ronald Reagan nel 1981, infatti, nessuno ipotizzò complotti globali che coinvolgevano la Cia, il Kgb o la mafia. Come mai? Per un semplice motivo: Reagan scampò all'attentato e il suo attentatore finì in un ospedale psichiatrico. Fine della storia.
Il fallito attentato non ebbe conseguenze e, dunque, nessuno sentì il bisogno di immaginare grandi manovre occulte. La morte di Kennedy, invece, ebbe conseguenze importanti e le teorie del complotto continuano a fiorire ancora oggi, 60 anni dopo i fatti.
Si può contrastare la tendenza a vedere ovunque teorie del complotto? «Tentare di smontarle è un po' come cercare di inchiodare al muro un budino», dice Brotherton. «Una caratteristica costante delle teorie del complotto è che non si possono dimostrare e cambiano forma ogni volta che si cerca di affrontarle. D'altra parte, è vero che credere ad alcune di queste teorie può avere conseguenze gravi, come quelle provocate da chi decide di non vaccinare i propri figli sulla base di qualche idea infondata o da chi nega i cambiamenti climatici o l'esistenza stessa della CoVID-19, ma molte altre sono innocue.»
Soltanto abbagli. Spesso, infatti, anche gli scettici si lasciano incantare dagli aspetti più coloriti ma superficiali di una vicenda. «Prendiamo l'assalto al Congresso americano dello scorso 6 gennaio», dice ancora lo psicologo. «Tutti hanno messo in prima pagina la foto dello Sciamano, l'uomo con la faccia dipinta, che indossava un copricapo con due grandi corna e che diceva di appartenere al culto di QAnon, una diffusa e assurda teoria del complotto americana. Certo, era un'immagine curiosa, ma ci ha distratto dalle cose più importanti. A partire dal fatto che i capi dei gruppi che hanno organizzato l'attacco erano suprematisti bianchi come i Proud Boys o gli Oath Keepers, gente che sfrutta le teorie del complotto per i propri scopi. Ecco perché concentrarsi solo sul complottismo è un errore.»
Il debunking fine a se stesso, poi, può essere poco efficace. Quando si sfata un mito, si crea un vuoto nella mente di una persona: solo se si colma questa lacuna la demistificazione è efficace. Non basta dire che a uccidere Kennedy è stato Lee Harvey Oswald, per esempio. Bisogna anche spiegare nel dettaglio la personalità e la storia di Oswald e come una serie di circostanze sfortunate ha fatto sì che l'assassino si venisse a trovare nel posto "giusto" al momento "giusto".
«In generale, trovo che non si possa pensare di sradicare la mentalità complottista ridicolizzando o offendendo chi crede a certe cose», conclude Brotherton. «Un atteggiamento più utile è invece quello di iniziare la discussione con un teorico del complotto cercando di capire che cosa abbiamo in comune.
Studiare certe teorie, poi, può aiutarci a capire meglio il modo in cui funziona la mente. La mente di tutti, intendo. Perché dobbiamo ricordarci che, volenti o nolenti, siamo un po' tutti complottisti nati. L'unica differenza è che alcuni lo nascondono meglio di altri.»
Siamo tutti complottisti è un articolo di Massimo Polidoro (Segretario nazionale del CICAP e autore del saggio Il mondo sottosopra) pubblicato su Focus 347 (settembre 2021), disponibile in versione digitale. Leggi anche il nuovo Focus in edicola!