Psicologia

Memoria: come si formano i ricordi stabili

Per ogni evento, il cervello prepara due tracce: una per rievocazioni immediate, e una per il lungo termine. La scoperta riscrive le più note teorie sull'archiviazione delle esperienze che viviamo.

Come si passa da un evento vissuto al ricordo durevole di esso? Un importante esperimento americano e giapponese riscrive quel che si sapeva, finora, sul consolidamento dei ricordi umani.

Per ogni episodio vissuto, il cervello crea due tracce: una destinata al "qui ed ora", e una fatta per durare nel tempo. La seconda rimane per qualche tempo silente, ma esiste sin da subito: una scoperta che ribalta la convinzione, da molti accettata, che tutti i ricordi siano dapprima "a breve termine", e con il tempo siano convertiti in tracce stabili.

Quel che sappiamo. I ricordi delle nostre esperienze personali sono gestiti soprattutto da due aree cerebrali: l'ippocampo, per la memoria a breve termine - quella, per intenderci, che ci serve a tenere a mente un nuovo numero di telefono per il frangente di tempo necessario a scriverlo su un foglio - e la corteccia, per i ricordi a lungo termine (tutti gli altri).

Vecchia scuola. Questa ripartizione è in voga dagli studi su Henry Molaison (il celebre paziente HM): l'uomo, con l'ippocampo danneggiato in sede operatoria, non era in grado di formare nuovi ricordi, ma rammentava correttamente quanto accaduto prima dell'intervento. L'idea era, insomma, che le tracce mnestiche si formassero nell'ippocampo e che poi, da questo "magazzino" a breve termine, migrassero nella corteccia, dove vengono archiviate in modo stabile.

L'esperimento. Un gruppo di scienziati del Riken-MIT Center for Neural Circuit Genetics ha dimostrato che non funziona così manipolando con l'aiuto di raggi luminosi alcuni ricordi paurosi nei topi. Gli animali hanno subìto una debole scarica elettrica in una particolare stanza; dopodiché, i ricercatori hanno osservato se e quando il ricordo del trauma subito tornasse a galla da solo, e provato in alternativa a riattivarlo modulando con la luce l'attività dei neuroni coinvolti.

Doppio appunto. Si è visto che il cervello dei topi aveva formato, sin da subito e simultaneamente, due tracce dell'evento: una nell'ippocampo e una nella corteccia prefrontale. Gli engrammi (le tracce mnestiche) della corteccia, tuttavia, sono rimasti silenti per alcuni giorni: erano cioè riattivabili "accendendo" i neuroni con la luce, ma non venivano rievocati dai topi naturalmente.

Passaggio di testimone. Nelle due settimane seguenti, i neuroni silenti del ricordo nella corteccia si sono consolidati fino a consentire all'animale di rievocare naturalmente il trauma, mentre quelli dell'ippocampo si sono silenziati, dando "il cambio" alla traccia più stabile. Tra le due aree vi è comunque un dialogo continuo: quando gli scienziati hanno inibito le connessioni tra ippocampo e corteccia, gli engrammi della seconda non sono mai maturati.

I prossimi passi. La ricerca potrebbe servire nella lotta alle più comuni forme di demenze: studi precedenti avevano dimostrato che i pazienti con Alzheimer sono ancora in grado di formare tracce mnestiche, ma che non riescono a rievocarle.

7 aprile 2017 Elisabetta Intini
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