Finora, gli interventi di trapianto del pene sono stati solo tre in tutto il mondo: la difficoltà della procedura, e anche le pesanti conseguenze fisiche e la delicatezza da un punto di vista psicologico, l’hanno relegato finora nel campo delle rarità mediche. Potenzialmente, però, il trapianto di pene avrebbe un numero non proprio irrilevante di candidati.
Secondo i dati presentati nei giorni scorsi al congresso sulle tecniche ricostruttive in ambito genitale e urinario che si è svolto al Policlinico di Tor Vergata, a Roma, sono migliaia gli uomini che per amputazioni dovute a malattie o incidenti vivono senza l’organo genitale. Il problema è particolarmente sentito negli Stati Uniti, dove gli incidenti con mine e bombe in Iraq e Aghanistan, hanno provocato la mutilazione di diverse centinaia di soldati.
Casi rari. Il primo trapianto di pene vero e proprio è stato eseguito nel 2006, in Cina, su un uomo che però dopo solo un mese dall’intervento ha chiesto di tornare sui suoi passi. Un altro è stato fatto in Sudafrica nel 2014, su un giovane che ne aveva subito l’amputazione per le complicazioni di una circoncisone, e il terzo negli Stati Uniti, nel 2016, su un sessantaquattrenne, cui il pene era stato asportato per un tumore.
Il trapianto vero e proprio è un intervento molto invasivo, riservato, anche nella teoria, solo ai casi in cui non si può procedere ad altri tipi di ricostruzione o all’ausilio di protesi. Come per gli altri trapianti, è necessario che il donatore dell’organo sia dello stesso gruppo sanguigno e abbia un’età non troppo distante da quella del ricevente. Non solo: bisogna che la famiglia del donatore acconsenta all’espianto e sia disposta a cederlo. E su un tema così delicato e intimo le resistenze e gli aspetti psicologici da valutare possono essere molti.
Operazione delicata. Il termine tecnico della procedura è allotrapianto composito vascolare, nome che già suggerisce la sua complessità: al contrario di quello che avviene per altri organi interni, ancorati con pochi punti al resto dei tessuti, il trapianto del pene prevede di connettere muscoli, nervi, vasi sanguigni, l’uretra e la pelle, tanto che ad eseguirlo deve essere un team multidisciplinare che comprenda urologi, chirurghi plastici e vascolari. La durata dell’operazione è stimata in almeno dodici ore.
Come per gli altri organi, dopo il trapianto va affrontato il problema del rigetto: per minimizzare il rischio, alcuni protocolli prevedono l’infusione di cellule del midollo spinale del donatore.
In ogni caso, chi riceve l'organo dovrà assumere farmaci per tutta la vita.
Come prima? Anche una volta che il trapianto abbia funzionato da un punto di vista chirurgico e medico, e nonostante la teoria preveda un ritorno alla normalità, resta da vedere se il pene consentirà di svolgere naturalmente le sue funzioni, urinare e l’attività sessuale. Per agevolare il ritorno alla vita sessuale, la previsione di alcuni esperti è che possa essere utilizzata in aggiunta una protesi idraulica, una sorta di pompa che si riempie di fluidi e provoca l’erezione, sperimentata anche nel caso di uomini con disfunzione erettile grave.
Tra dubbi medici e bisogni umani. Nonostante l’opinione pubblica tenda a comprendere i bisogni degli uomini, spesso giovani, che sarebbero disposti a intraprendere questa strada, da un punto di vista medico i pareri sono divisi sull’opportunità di questo genere di intervento.
Come per il trapianto di mano, molti medici ritengono che il gioco non valga la candela, dato che i genitali non sono organi vitali, e l’intervento comporta l’assunzione di farmaci antirigetto le cui conseguenze per la salute possono essere pesanti. Di sicuro, questo è uno dei casi in cui la medicina si trova a dover contemperare aspetti diversi: i bisogni fisici e psicologici di chi ha subito una mutilazione grave e le valutazioni cliniche di rischi e benefici.