Come fa il cervello a comprendere e a tenere traccia del passare del tempo? Con un meccanismo analogo a quello che sfrutta per capire dove siamo. Secondo uno studio pubblicato su Nature, tipologie specifiche di cellule cerebrali si attivano in un modo che rispecchia l'ordine e la struttura delle esperienze individuali. Il cervello memorizza queste sequenze di attivazione ed è in grado di riprodurle quando è a riposo, così da poterle anche utilizzare per prepararsi a fronteggiare stimoli futuri.
La ricerca è la prima dimostrazione empirica di come specifiche cellule cerebrali lavorino per integrare informazioni sul "cosa" e sul "quando" per formare una rappresentazione del fluire delle esperienze nel corso del tempo. È frutto del lavoro di un gruppo coordinato da Itzhak Fried, professore di neurochirurgia, psichiatria e scienze biocomportamentali della David Geffen School presso l'Università della California di Los Angeles.
Lo spazio e il tempo. «Riconoscere il modo in cui si dipanano le esperienze nel corso del tempo è fondamentale affinché il cervello umano possa formare ricordi, prevedere potenziali risultati futuri e guidare i comportamenti», spiega Fried. Precedenti lavori di un gruppo di cui ha fatto parte anche Fried avevano usato strumenti di neuroimaging per dare un senso di come il cervello elabori la navigazione spaziale, un processo in cui due regioni cerebrali cruciali per la memoria, l'ippocampo e la corteccia entorinale, giocano ruoli fondamentali.
Un tipo di cellule dell'ippocampo, le "place cells" o cellule di posizione, si attivano quando ci troviamo in una specifica posizione nello spazio, come a segnare una "X" su una mappa. Ma per formare una mappa cognitiva dell'ambiente servono anche le "grid cell", specifiche cellule della corteccia entorinale che formano come un sistema di coordinate e forniscono una misura della distanza spaziale percorsa.
Meccanismo analogo. La scoperta dell'esistenza di questo sistema GPS era stata premiata con il Nobel per la Medicina nel 2014 (conferito a John O'Keefe e ai coniugi May-Britt e Edvard Moser). Il gruppo di Fried ha confermato la sua esistenza anche nel cervello umano. Successive ricerche hanno chiarito che lo stesso sistema serve anche a rappresentare esperienze che non hanno a che fare con il senso dello spazio, come il passare del tempo, la frequenza sonora e le caratteristiche degli oggetti.
Nel corretto ordine. Per il nuovo studio sono stati reclutati 17 soggetti che avevano elettrodi impiantati nelle strutture cerebrali profonde per trattare una forma grave di epilessia. La loro attività neurale è stata registrata durante una complessa procedura in cui dovevano compiere varie azioni (come stabilire se un'immagine passata sullo schermo di un pc mostrasse una persona o meno), riconoscere vari pattern e sequenze di immagini.
I neuroni dell'ippocampo e della corteccia entorinale hanno gradualmente modificato la loro attività per codificare, cioè fissare come ricordo, la struttura temporale di una complessa sequenza di immagini all'interno della presentazione mostrata ai volontari. Questa rappresentazione delle immagini nel tempo si è formata in modo spontaneo, senza forzature specifiche, ed è rimasta, persistente, anche al termine dell'esperimento. Inoltre, la sequenza di attivazione neurale rifletteva la probabilità di comparsa o meno di un determinato stimolo.
«Questo studio ci mostra per la prima volta come il cervello utilizzi meccanismi analoghi per rappresentare tipi di informazioni apparentemente molto diversi: spazio e tempo», conclude Fried.