Per decenni la scienza si è interrogata sui misteri del sonno, e molti rimangono ancora irrisolti. Quello che possiamo affermare con ragionevole certezza è che più il nostro cervello cresce, meno abbiamo bisogno di dormire. Una ricerca pubblicata su Science Advances ha cercato di approfondire la questione, scoprendo che attorno ai due anni e mezzo di età cambia il motivo per cui dormiamo, e con esso il modo in cui lo facciamo.
Sonno ristoratore. Vi sono due principali ragioni per le quali dormiamo: per permettere alle nostre connessioni neurali di riorganizzarsi (in altre parole apprendere) o di ripararsi. Durante le ore di veglia, infatti, il cervello viene logorato dal flusso sanguigno e dalla produzione di sostanze chimiche nocive, e il sonno ha la funzione di "ripulirlo": «Funziona un po' come per le linee della metropolitana», spiega Geoffrey West, uno degli autori, «che vengono riparate di notte per evitare interruzioni durante il giorno».
Il sonno si divide in due fasi principali: la REM (dall'inglese random eye movement), una fase caratterizzata da movimenti rapidi degli occhi, e la non-REM, composta da fasi di sonno leggero alternate a periodi di sonno profondo. Durante la fase REM, prevalente nei primi anni di sviluppo del nostro corpo, il nostro cervello impara e si riorganizza; la fase non-REM caratterizza invece il resto della nostra vita, e serve a riparare i "danni" arrecati al cervello durante il giorno.
Il punto di non ritorno. I ricercatori hanno osservato che poco prima dei 2 anni e mezzo di età il nostro sonno cambia radicalmente, passando da essere maggioritariamente di tipo REM a principalmente non-REM. In altre parole, crescendo non abbiamo più bisogno di dormire per riorganizzare le connessioni neurali e imparare, ma riposiamo per riparare ai danni causati durante il giorno e "azzerare" lo stress accumulato. Mentre i neonati passano in fase REM circa il 50% del sonno, questa percentuale scende al 25% per i bambini di dieci anni e crolla al 15% per un ultracinquantenne. «Dovremmo indagare a fondo sulla questione», sottolinea Van Savage, autore dello studio, «e capire esattamente che cosa accade quando avviene questo cambio repentino».