Il 22 luglio 2009 veniva presentato al mondo lo Human Brain Project, un tentativo di simulazione su un supercomputer del funzionamento dell'intero cervello umano, dal livello molecolare a quello cognitivo.
Le premesse erano vaghe - "capire la percezione", "capire la realtà", nelle parole del suo primo direttore, lo svizzero Henry Markram - e l'orizzonte temporale più che mai ambizioso, per quel poco che ancora comprendiamo del cervello umano: 10 anni per portare a termine l'obiettivo. Quel tempo è passato e il piano non ha funzionato, come ricorda un articolo sull'Atlantic, che ripercorre ascesa e caduta di una collaborazione monumentale finanziata nel 2013 dalla Commissione Europea con un miliardo di euro.
Poco realistico. L'iniziativa fu duramente criticata fin dall'inizio, per un approccio considerato da molti neuroscienziati quanto meno implausibile. L'idea non è di realizzare un modello semplificato del cervello, ma di farne un fac-simile a partire dai suoi elementi costitutivi: i singoli neuroni, l'attività elettrica tra di essi, persino i geni che ne comandano l'attivazione. È già parecchio complicato mappare i 302 neuroni del verme nematode C. elegans: simulare le connessioni tra gli 86 miliardi di cellule nervose nel cervello umano è quasi fantascienza, dato quanto poco conosciamo dell'organo originale.
Per modellare il cervello umano fino al dettaglio di un singolo neurone, occorre capire perfettamente come funziona quella cellula. Altrimenti, si corre il rischio di voler sviluppare un modello che possa spiegare alcune dinamiche biologiche, quando il funzionamento di quelle stesse dinamiche (necessarie allo sviluppo di un modello attendibile) non è chiaro: un gatto che si morde la coda.
Fine a se stesso. Un'altra critica mossa al progetto, è stata la mancanza di un obiettivo chiaro di ricerca. Molti scienziati intervistati su questo punto dall'Atlantic hanno dichiarato di poter indagare ipotesi sperimentali meno ambiziose e più precise su modelli di più piccola scala, che comprendono centinaia di migliaia di neuroni. Tanto più che il cervello non è un organo autoreferenziale, ma una macchina che interpreta il mondo esterno, trae informazioni da esso e lo influenza a sua volta. Simulare un cervello "in barattolo" potrebbe non dirci nulla di come funziona.
Nel 2015, una costola dello Human Brain Project, il Blue Brain Project, diffuse un modello di 30 mila neuroni di topo - lo 0,15% del piccolo cervello del roditore. Anche quel lavoro fu molto criticato per la scarsa utilità: se si riuscisse a fare qualcosa di simile per il cervello umano, a che servirebbe?
Presa di distanza. Nel 2014, in una lettera aperta alla Commissione Europea, 800 scienziati da tutto il mondo asserirono che lo Human Brain Project era inadatto a diventare il fulcro centrale delle neuroscienze d'Europa.
La questione era - anche - politica: il mega finanziamento a un unico progetto imponeva una sorta di visione unica e aveva tolto fondi ad altre collaborazioni meno influenti.
L'anno successivo, un comitato di mediazione accolse quelle critiche e invitò lo HBP a dedicarsi a un numero minore e più preciso di attività. Dopo un cambio di leadership, il progetto si è riconvertito a software per la gestione dei dati esistenti sul cervello e per lo sviluppo di strumenti che permettano ad altri di costruire i propri modelli neurali, più piccoli. I finanziamenti proseguiranno fino al 2023, ma a questo punto, le ambizioni scientifiche originarie si sono decisamente sgonfiate.