Psicologia

Che cos'è davvero l'ipnosi

È imparentata con i riti voodoo, ma non ha nulla di “demoniaco”. Sembra a metà tra magia e scienza, ma è un fenomeno molto meno misterioso di quanto si creda. Perché è un’alterazione della coscienza che ci capita tutti i giorni, quando siamo assorti. 

Una manovra attuata con artifici misteriosi per manipolare la volontà altrui... Un metodo per indagare nell’inconscio di una persona e carpirne i segreti... Una tecnica in grado di curare miracolosamente ogni sorta di malattia...

In un modo o nell’altro, è convinzione diffusa che l’ipnosi sia una specie di magia. Accostata ai fenomeni di possessione, ai rituali voodoo e sciamanici (con cui in effetti è imparentata), l’ipnosi è spesso relegata, con diffidenza, tra le “pseudoscienze”.

Fenomeno naturale. Eppure questa pratica non ha nulla di strano o di inquietante. In realtà è un’esperienza normale con cui ci confrontiamo tutti i giorni. Per esempio quando guardiamo un film o leggiamo un romanzo appassionante, quando ascoltiamo una conferenza che ci coinvolge o una musica che ci affascina, o ancora quando sogniamo a occhi aperti. Ogniqualvolta siamo concentrati, assorti, rapiti, incantati da qualcosa che catalizza la nostra attenzione a un punto tale da ignorare tutto ciò che ci succede intorno e da perdere la concezione del tempo, siamo, di fatto, “ipnotizzati”.

Vale a dire che ci troviamo in uno stato di alterazione delle percezioni e della coscienza. Una condizione che ha una sua utilità: ci permette infatti di mobilitare e rendere utilizzabili risorse che altrimenti sarebbero inaccessibili, con il risultato – per esempio – di migliorare una performance o di facilitare il ripristino dell’equilibrio e del benessere.

Qualche esempio concreto: ci sono artisti che entrano in questo stato per produrre le loro opere, e attori (soprattutto se praticano il famoso “metodo Stanislavskij”) che lo utilizzano per immedesimarsi in un personaggio o per coinvolgere di più gli spettatori. Che c’entra allora l’ipnosi con la magia?

UN'ESORDIO “SPETTACOLARE”. A conferire all’ipnosi un alone di mistero fu, già da subito, quello che è considerato il suo “scopritore”: Franz Anton Mesmer, un personaggio controverso vissuto a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. Influenzato dalle scoperte della sua epoca (in particolare l’elettricità e il magnetismo, cioè forze invisibili che agiscono sui corpi), Mesmer teorizzò la presenza di un fluido vitale in tutti gli esseri viventi, battezzandolo “magnetismo animale” in analogia con l’invisibile forza che attira due oggetti calamitati.

L’ipnotista Handy-Bandy induce la trance nella sua assistente: il poster risale al 1927.

Nel corso delle sue sperimentazioni, Mesmer fece ricorso a complicati rituali (dall’applicazione di calamite sulle varie parti del corpo all’imposizione delle mani per irraggiare energia benefica), riuscendo a provocare in alcune persone stati di “sonnambulismo artificiale” nonché convulsioni, svenimenti e paralisi temporanee.

Altre volte i “mesmerizzati” parlavano e rispondevano alle sue domande, per poi dimenticare completamente l’accaduto. Si trattava insomma di effetti spesso spettacolari, che gli valsero una certa fama negli ambienti nobiliari e altoborghesi della fine del ’700. L’ipnosi degli esordi era dunque molto diversa da quella “moderna”: diretta, autoritaria e rivolta a persone suggestionabili (che venivano per lo più utilizzate per “fare spettacolo”).

FAI FINTA, SENNÒ ROVINI TUTTO! È da questo genere di esperienza che ha preso origine la cosiddetta “ipnosi da palcoscenico”, una forma di intrattenimento che ha goduto di un discreto successo.

Di solito avviene così: l’ipnotizzatore invita un volontario tra il pubblico, lo guarda fisso negli occhi parlando in maniera monotona e ripetitiva, fio a che il malcapitato abbassa le palpebre e cade in uno stato di trance. A quel punto, il soggetto sembra trovarsi in balia dei comandi (spesso assurdi o imbarazzanti) dell’ipnotizzatore. In realtà le persone coinvolte in queste esibizioni sono complici dell’ipnotista oppure spettatori che stanno al gioco. Scegliendo infatti a caso tra il pubblico, l’ipnotista correrebbe il rischio di fallire, perché le persone molto suggestionabili sono rare.

“Quando lo dirò io...” Giucas Casella durante un’esibizione. La cosiddetta “ipnosi da palcoscenico” fa quasi sempre uso di complici o di conduttori compiacenti.

E inoltre potrebbe essere denunciato per esercizio abusivo della professione medica: in Italia l’ipnosi è permessa solo a medici e psicologi, perché se praticata fuori da un contesto controllato su determinati soggetti (appunto i più suggestionabili!) può avere conseguenze psicopatologiche.

CRIMINI E DELITTI. Altro mito da sfatare è l’“ipnosi da rapina”. Secondo gli esperti, quegli episodi che periodicamente occupano le cronache dei giornali e nei quali ambigui personaggi (di solito indiani o arabi) ipnotizzano persone per derubarle non sono altro che leggende metropolitane. Non è possibile, infatti, mandare in trance una persona senza il suo consenso. In casi di questo tipo, più che di ipnosi si dovrebbe parlare di un’abile manipolazione, per esempio attraverso la “tecnica della confusione” (vedi riquadro nelle pagine precedenti). Le vittime, spesso, non si capacitano di essere state raggirate, quindi preferiscono (inconsciamente o meno) credere di essere state ipnotizzate. Altrettanto impossibili sono i crimini commessi sotto l’influenza di comandi ipnotici, come si vede talvolta al cinema. Non si può infatti costringere una persona a comportamenti contrari ai suoi principi morali, e tanto meno a compiere delitti.

Il pendolino è uno degli strumenti utilizzati per l’induzione ipnotica: convogliando l’attenzione su un compito fastidioso per la vista, si allenta la resistenza ad abbandonarsi.

REGRESSIONI E FALSI RICORDI. Restando in ambito giuridico, è da sfatare anche la credenza secondo cui l’ipnosi può permettere di rievocare eventi dimenticati... eventi utili, per esempio, a ricostruire lo scenario di un crimine o a formulare accuse nei confronti di qualcuno.

Il fenomeno della “ipermnesia”, cioè del potenziamento dei ricordi (anche questo molto sfruttato al cinema), è in realtà controverso. Negli Usa è perfino sorta un’associazione, la False Memory Syndrome Foundation, che difende le vittime dei falsi ricordi (in genere genitori presunti violentatori). Non è detto, infatti, che quanto rievocato sotto ipnosi corrisponda a eventi realmente vissuti, perché i ricordi sono sempre viziati dall’immaginazione. Un individuo, senza esserne consapevole, può inserire scene solo immaginate, e convincersi di averle davvero vissute. In questo modo si spiegano anche le “regressioni a vite passate” ottenute sotto ipnosi: non sarebbero altro che immersioni in suggestive fantasie.

L'ipnosi terapeutica. Sgombrato il campo da miti, leggende ed usi impropri, che cosa resta? Resta uno strumento meno teatrale e più rispettoso dell’individuo: la cosiddetta “nuova ipnosi”, introdotta nel secolo scorso dallo psichiatra californiano Milton Erickson, che ha dato origine ai più accreditati orientamenti di psicoterapia oggi esistenti.

LE BASI TEORICHE. L’obiettivo dell’ipnosi è accedere all’inconscio dell’individuo, cioè al “luogo” in cui vengono raccolte le esperienze e le informazioni apprese nel corso della vita (di cui spesso non abbiamo consapevolezza). L’inconscio viene convenzionalmente situato dagli studiosi nell’emisfero destro del cervello. Si ritiene, infatti, che l’emisfero sinistro sia la sede delle capacità analitiche, logiche e razionali, quelle che in condizioni di veglia sono dominanti. L’emisfero destro, attivo soprattutto durante il sonno, è invece la sede di creatività, immaginazione e intuizione, e dà la visione d’insieme.

Durante l’ipnosi, il terapeuta parla a questa parte destra, che si presume collegata di rettamente al sistema limbico-ipotalamico, il ponte di comunicazione tra la mente e il corpo: l’ipotalamo è infatti connesso all’ipofisi, che può convertire gli impulsi nervosi in messaggi ormonali. È per questo che l’ipnosi può “incoraggiare” i meccanismi di autoguarigione che ciascuno di noi possiede, e anche dare accesso a risorse di cui non siamo consapevoli. «È molto importante» diceva Erickson «che le persone sappiano che il loro inconscio è molto più intelligente di loro».

Ma come si fa a ipnotizzare? L'ipnosi non è un’operazione difficile, se il soggetto collabora. Il primo passo è favorire un distacco dalla realtà. L’ipnotista, con voce monotona e ripetendo più volte parole e concetti, invita la persona a rilassarsi e a concentrare l’attenzione su un oggetto (un tempo poteva essere il pendolino, oggi è spesso una parte del corpo: «Il tuo braccio diventa sempre più pesante» oppure «sempre più caldo»).

Questo accorgimento aiuta la persona a isolarsi dalla realtà esterna e a rivolgere l’attenzione verso l’interno fino a sperimentare un senso di distacco dal corpo e una profonda impressione di pace (ci si sente “cullati nel vuoto”). A questo punto l’ipnotizzato diviene potenzialmente qualsiasi cosa. Il concetto di tempo svanisce e lo stesso ipnotizzatore perde la propria identità, divenendo solo voce (celebre la frase di Erickson: «La mia voce ti accompagnerà...»).

ENTRARE IN TRANCE. Attraverso l’ipnosi viene indotta la “trance”, una particolare condizione tra il sonno e la veglia riconoscibile da alcuni segnali. La persona di solito è immobile, seduta o distesa. La respirazione è allentata, così come la frequenza cardiaca. Gli occhi sono chiusi o socchiusi; se sono aperti sono quasi privi di ammiccamento (cioè del riflesso di chiusura delle palpebre). La voce ha un tono diverso, l’eloquio è rallentato. La deglutizione è rara. La risposta a stimoli esterni (anche dolorosi) è ridotta. La ricerca della trance è tipica di molte culture: alcune ci arrivano con la ripetizione di poche parole (i monaci tibetani), altre con ritmi monotoni e regolari (le danze tribali africane ma anche le discoteche occidentali).

L’INTERVENTO TERAPEUTICO. Una volta indotta la trance, l’ipnotista ha di fronte a sé una persona non più imprigionata nei rigidi schemi della realtà e che accetta perciò messaggi dall’esterno senza il consueto processo di analisi e critica. In questa fase l’ipnotista può offrire al paziente suggestioni utili (per esempio «in aeroplano sarai rilassato» oppure «le sigarette avranno d’ora in poi un sapore cattivo»). Non esistono tecniche standard o copioni da recitare: lo stesso Erickson invitava i suoi allievi a dare sfogo alla propria fantasia, facendosi ispirare dal soggetto. Tutti possono essere ipnotizzati? In linea teorica sì, ma si sa che alcune persone sono particolarmente refrattarie: in genere, lo è chi esercita su di sé un continuo controllo (in altre parole, chi fa fatica a “lasciarsi andare”), chi si oppone volontariamente o chi pone, inconsciamente, delle “resistenze”.

IPNOSI SENZA TRANCE. Per aggirare le resistenze “razionali” la trance non è strettamente necessaria. L’“ipnosi senza trance” è un linguaggio persuasivo che oltrepassa le capacità logico-critiche. Questa modalità comunicativa è detta anche “linguaggio dell’emisfero destro” e fa largo uso di immagini, metafore, aforismi, giochi di parole, battute ironiche e forme linguistiche positive (per l’emisfero destro non esiste la negazione: il messaggio «non avere paura» ottiene l’effetto contrario; molto meglio «puoi avere coraggio»).

Queste stesse strategie comunicative sono usate anche dai bravi oratori e dagli abili venditori.

Marta Erba per Focus

1 maggio 2014
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