Psicologia

Che cosa è la sindrome di Stoccolma?

La sindrome di Stoccolma si chiama così a causa di un caso accaduto a Stoccolma nei primi anni Settanta. E fu teorizzata da un famoso psichiatra criminologo.

La sindrome di Stoccolma è un meccanismo per cui un prigioniero simpatizza con il suo rapitore. «Quando un ostaggio pensa che morirà vive una sorte di infantilizzazione: infatti, come un bambino, non può mangiare o andare in bagno senza permesso», ha spiegato lo psichiatra pioniere nella scienza dei traumi Frank Ochberg, il consulente dell'FBI che ha definito il fenomeno. «In questa fase estrema, qualunque concessione da parte di chi lo minaccia suscita enorme gratitudine; al punto che alla fine, negando a se stesso la verità, il prigioniero pensa di dovere a un criminale la sua stessa vita».

La sindrome deve il suo nome a un caso accaduto a Stoccolma il 23 agosto 1973: Jan-Erik Olsson entrò armato in banca prendendo in ostaggio quattro impiegati. Dopo sei giorni, mentre il criminale si arrendeva, gli ostaggi lo abbracciarono pregando la polizia di non fargli del male. L'espressione divenne famosa poi nel 1974, quando l'ereditiera 19enne Patty Hearst fu rapita da un gruppo combattente di sinistra.

Trauma. Due mesi dopo il rapimento, Patty annunciò su un'audiocassetta di essersi unita allo SLA e di aver preso il nome di "Tania", il nome di battaglia della compagna di Che Guevara In seguito, Patty Hearts effettuò una rapina a mano armata, il primo di una serie di crimini effettuati per conto dell'associazione che l'aveva rapita. Quando fu arrestata dall'FBI, per quanto la sua difesa invocasse la sindrome di Stoccolma, cioè una sorta di "lavaggio del cervello", fu condannata a 35 anni di prigione, poi ridotti a sette. Il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton le ha concesso la grazia.

3 dicembre 2022 Elisa Venco
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