Gli esperti sostengono che in realtà la pigrizia non esista e che anzi "prendersi il proprio tempo" sia un'abitudine salutare. Non esistono manuali di psicologia che contemplino la voce "pigrizia". Non si tratta di un disturbo, insomma. E a quanto pare nemmeno di un ben preciso tratto della personalità come il narcisismo o, all'opposto, la generosità. Quindi cos'è la pigrizia? Si tratta di rimandare nel fare qualcosa? O di fare le cose troppo lentamente? O di non farle affatto?
Come si comporta una persona pigra? In generale, la pigrizia è definita come "la riluttanza a svolgere un'attività o a fare uno sforzo nonostante si abbia la capacità di agire o di sforzarsi": che è come dire "ci sono i mezzi ma non la volontà". In altri termini, un individuo è pigro se la sua motivazione a risparmiarsi lo sforzo vince sulla spinta opposta a fare la cosa giusta o prevista. Una reazione assolutamente normale, secondo i biologi: gran parte degli animali in fondo trascorre la maggior parte del tempo a non fare nulla in particolare. E anche noi ci siamo evoluti per spendere meno energia possibile e concentrarci sulle ricompense immediate
Di conseguenza, qualsiasi comportamento che non è immediatamente gratificante è percepito dal nostro cervello come inutile. Per questo è così difficile metterlo in pratica. I nostri meccanismi psicologici per la gratificazione istantanea sono molto più antichi e quindi molto più forti di quelli che mettiamo in atto quando è utile ritardare la gratificazione (studiare per non essere bocciati a fine anno, andare in palestra per apparire in forma la prossima estate ecc.).
Dolce far niente. Alzi la mano quindi chi non si è mai fatto tentare da un po' di riposo anche quando in realtà avrebbe avuto tanto lavoro (o studio) da sbrigare. Secondo un'indagine Doxa del 2018 l'aspirazione più importante dell'85% degli italiani è evitare lo stress. E nel mondo, dice un sondaggio WIN International del 2020, le persone sane che non fanno nessun tipo di esercizio fisico sono circa un terzo. La pigrizia dunque è innanzitutto un problema di volontà. Alcuni scienziati hanno trovato la causa nel cervello, nel neurotrasmettitore dopamina, che influenza la motivazione ad agire. Chi esita o manca di volontà avrebbe uno squilibrio nei valori di dopamina in alcuni circuiti cerebrali.
Un gruppo di ricercatori della Vanderbilt University (Stati Uniti) ha infatti scoperto che la quantità di questa sostanza chimica in tre regioni del cervello determina se una persona è intraprendente o procrastinatrice.
La dopamina fa cose diverse in diverse aree del cervello. Quindi, mentre alti livelli in alcune regioni sono associati a un'elevata etica del lavoro, un picco nell'insula anteriore indica esattamente l'opposto: una persona più propensa a prendersela comoda, perfino se ciò significa guadagni minori. I ricercatori hanno scansionato il cervello di 25 giovani adulti volontari e li hanno sottoposti a un test per vedere quanto fossero disposti a lavorare per una ricompensa in denaro.
Il cervello pigro. Hanno così scoperto che le persone più laboriose avevano un'alta quantità di dopamina in due aree del cervello (striato sinistro e corteccia prefrontale ventromediale) note per svolgere un ruolo importante nella ricompensa e nella motivazione ma bassi livelli di dopamina nell'insula anteriore, una regione legata alla percezione del rischio. Gli scienziati hanno concluso quindi che mentre alcune persone si concentrano maggiormente sulla grande ricompensa che potrebbero ottenere e minimizzano le possibili perdite (di energia e tempo), altre sono più caute nel correre un rischio e spendere energia extra per una ricompensa improbabile, ma più grande. E finiscono per apparire più pigre.
A volte quindi si tratta solo di errate valutazioni e perfino di inganni cognitivi. Per esempio, cominciamo tardi un lavoro perché più un futuro è lontano più immaginiamo di avere tempo libero. Tra l'altro, come ha osservato la psicologa israeliana Shiri Nussbaum, in questo campo non impariamo mai dagli errori: continuiamo a essere ottimisti sul tempo a disposizione. Le ricerche dimostrano che se si offre a un gruppo di persone la scelta su quale compito svolgere per primo tra uno noioso ma semplice e uno complesso ma interessante, le persone decidono di rimandare il compito più complicato, senza porsi il problema del tempo necessario a svolgerlo.
Questione di tempo. Per pigrizia? No: ipotizzano di avere sufficiente tempo. Molti credono davvero che, magari tra un mese, avranno più tempo per andare in palestra, o per svolgere quel lavoro ecc. E rimandano. «Non è un caso se molte aziende offrono coupon molto scontati per fare cose anche piacevolissime come andare a cena: sanno già che una percentuale di persone non troverà il tempo per farlo, e non certo per pigrizia visto che non si tratta di impegni stressanti», sostiene Suzanne Shu, scienziata della Cornell University (Usa). Shu ha anche dimostrato, in uno studio condotto a Chicago, che la gran parte delle persone che si trasferivano altrove per lavoro nei giorni precedenti alla partenza cercavano di fare qualche visita del centro città, perché non l'avevano mai visto.
Finché vivevano lì pensavano di avere molto tempo per farlo. In effetti, sottostimare l'impegno necessario al completamento di un lavoro è un fenomeno ben noto agli scienziati che studiano la percezione del tempo: quando pensiamo a che cosa accadrà nelle prossime settimane abbiamo pochi particolari che ci aiutano a stimarne la durata. Soprattutto se ci riguarda personalmente. Se invece riguarda qualcun altro è molto più facile: una ricerca condotta ormai vent'anni fa ha dimostrato che gli studenti di solito sono più bravi a stimare in quale mese riusciranno a laurearsi i compagni che conoscono bene, rispetto a quando prenderanno loro stessi la laurea.
La scarsa motivazione non è dunque l'unico fattore responsabile dei comportamenti "da pigri". Ma rimane il più importante. Le cause di questa mancanza possono essere parecchie, per esempio una perdita del senso di autoefficacia (non sono capace di fare nulla!), che è la convinzione che se applicassimo la mente (e il corpo) a fare qualcosa otterremmo un buon risultato. Inoltre, esistono persone che per convincersi di essere in grado di poter fare qualcosa hanno bisogno che ci siano altri (familiari o amici) a credere in loro e se così non è, non trovano abbastanza motivazione interna.
Gratificazione. Insomma, l'uomo, come tutti gli altri animali, per agire ha bisogno che l'azione porti a una gratificazione. E molti compiti "a rischio pigrizia" non offrono una ricompensa, perlomeno non una gratificazione immediata (studiare latino, come mettere a posto qualche pratica in ufficio può essere davvero noioso!). «Il nodo di tutto è il fatto che senza autostima non si può sviluppare l'autodisciplina, che è ciò che ci aiuta ad arrivare a un obiettivo; non si ottiene perciò il successo che fa a sua volta aumentare l'autostima. Si crea cioè un circolo vizioso in cui non resta che essere pigri», fa notare lo psichiatra britannico Neel Burton, che studia in particolare l'atarassia, ovvero l'indifferenza a tutto.
C'è poi un altro fattore da tenere presente, la paura del fallimento, che è il timore di non avere abbastanza forza emotiva per superare una sconfitta: è tipica delle persone perfezioniste. E sono quelle che tendono di più a procrastinare e quindi ad apparire pigre. Non tanto perché pensano di non essere capaci di svolgere quel compito, ma perché sanno che esiste la possibilità del fallimento e basta questo a bloccarle.
«Non è che ho fallito, si dicono, è che non ci ho mai provato», evidenzia Burton.
La Pigrizia è una risorsa? Forse, però, dovremmo pensarla in modo completamente diverso. Come Robert Heinlein, ingegnere aeronautico, ufficiale di marina e autore di fantascienza, che diceva: "Il progresso non è fatto dai mattinieri. È fatto da uomini pigri che cercano di trovare modi più semplici per fare qualcosa". La pigrizia, insomma, può essere considerata l'altra faccia della medaglia della produttività. Qualche volta, più che un segno di inefficienza, è il risultato di un lavoro intelligente che libera tempo per il meritato ozio.
La pensava così anche Frank Gilbreth, un ingegnere statunitense che ha innovato alcuni processi industriali, che affermava: "Sceglierò sempre una persona pigra per fare un lavoro difficile perché una persona pigra troverà un modo semplice per farlo". Tra l'altro, autorevoli economisti come Ludwig von Mises hanno fatto notare che in fondo si lavora per poter essere pigri e perfino molte persone che si danno da fare tutta la vita sperano di poter conquistare così un posto in Paradiso (un luogo che, non a caso, la cultura popolare descrive come "star seduti su una nuvoletta" a non far nulla, perfettamente beati).
Pause necessarie. Del resto, molte ricerche mostrano i benefici dei sonnellini diurni e delle pause regolari, dall'abbassamento della pressione sanguigna allo svuotamento della mente. La pigrizia potrebbe quindi essere il meccanismo con cui il nostro corpo ci dice: risparmia energia, che ne hai bisogno. «In realtà, siamo condizionati da un sistema di credenze, che io chiamo "la bugia della pigrizia". Questo sistema dice che il duro lavoro è moralmente superiore al relax e che le persone improduttive hanno un valore intrinseco inferiore rispetto alle persone produttive», afferma lo psicologo sociale Devon Price, docente alla Loyola University di Chicago e autore del saggio Laziness does not exist. «Se vediamo qualcuno che non sta facendo abbastanza in base al nostro standard lo bolliamo come pigro. Dovremmo invece smetterla di chiederci continuamente "devo fare qualcosa?". Sarebbe molto più salutare cominciare a domandarci: "Ho bisogno di una pausa?"».