Quando impariamo a fare qualcosa di nuovo, che sia uno sport o a suonare uno strumento, il nostro cervello si modifica. Con la pratica, ci si perfeziona: più il cervello si adatta, più diventiamo bravi. Ma la malleabilità dei nostri neuroni, almeno nel breve periodo, non è poi così grande: nelle prime fasi dell'apprendimento il cervello cerca di svolgere il nuovo compito con vecchi metodi, cioè adattando e “riciclando” schemi che ha già a disposizione.
Ecco perché è tanto difficile imparare cose nuove, e anche perché apprendere cose nuove, ma simili a compiti che già sappiamo svolgere, è meno difficile che partire da zero.
Con la forza del pensiero. Sembra la scoperta dell’acqua calda, ma in realtà per gli scienziati è molto difficile studiare in diretta il fenomeno dell’apprendimento e le modifiche che comporta nel cervello. Un gruppo di ricercatori della Carnegie Mellon University, negli Stati Uniti, ha provato a farlo con un accorgimento particolare, ovvero facendo utilizzare una interfaccia cervello-computer ad alcune scimmie mentre stavano imparando a eseguire un nuovo compito.
Gli animali dovevano imparare a muovere sullo schermo di un computer un cursore guidato dall’interfaccia cervello-computer, in modo che l’attività elettrica del loro cervello - mentre “pensavano” di svolgere il compito - fosse convertita nei movimenti del cursore stesso. In questo modo, però, i ricercatori erano anche in grado di osservare l’attivazione di tutti i neuroni che permettevano lo svolgimento del compito, e anche i cambiamenti e i miglioramenti via via che il compito proseguiva e gli animali imparavano.
Adattamenti. Quello che hanno osservato è che il nuovo compito non viene appreso istantaneamente, come è ovvio a chiunque, ma questo accade anche per come funzionano i neuroni. Nelle prime fasi in cui impara, il cervello non mette in atto la strategia che sarebbe più diretta per imparare e arrivare allo scopo, ma utilizza e cerca di adattare quelle che ha già a disposizione. Per arrivare allo schema di attivazione ideale dei neuroni ci vuole tempo.
Per fare un esempio, si può immaginare una persona che sa giocare a tennis e che per la prima volta si dedica a una partita di squash. In questo caso, il suo cervello cerca di re-indirizzare per il nuovo scopo gli schemi motori che ha già imparato. Non è la scelta ottimale, perché i due sport richiedono strategie differenti, ma è l’unica che il cervello sembra in grado di utilizzare nelle prime fasi.
Rimedio veloce. È un risultato inaspettato.
La conclusione che i ricercatori ne traggono è che nel primo periodo dell’apprendimento il cervello cerca per così dire di rimediare alla svelta al problema da risolvere. Le soluzioni più efficaci arrivano dopo.