Per vincere gli Europei ci vuole un fisico bestiale, ma non basta. Occorre anche avere cervello e saperlo usare almeno al pari dei piedi. Serve cioè un’intelligenza cognitiva che permetta al giocatore di analizzare rapidamente ciò che succede sul campo e tradurlo in azioni vincenti.
Ma a differenza delle performance fisiche e balistiche, queste capacità sono più difficili da misurare. Ci sono riusciti, nel 2012, i ricercatori del Department of Clinical Neuroscience presso il Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia, che hanno messo a punto un test per misurare l’intelligenza di gioco dei calciatori.
Calciatori sotto esame. La prova è composta da una serie di esercizi, da svolgere con carta e penna oppure al computer, che sondano la capacità del giocatore di risolvere problemi, di pianificare, di gestire più attività contemporaneamente e di affrontare le novità.
Il test è stato condotto su giocatori dilettanti, semi-professionisti e professionisti, e i risultati sono stati confrontati con quelli di un campione di controllo selezionato tra la popolazione comune.
Ne è emerso che la mente dei professionisti è più efficace della media nell’attivazione delle funzioni esecutive, ossia del sistema di moduli funzionali del cervello che regola i processi di pianificazione, controllo e azione, soprattutto nelle situazioni non di routine.
Piccoli piedi, grande cervello. I ricercatori di Stoccolma hanno somministrato il loro test a Xavier “Xavi” Hernández Creus e Andres Iniesta, due fuoriclasse che giocano rispettivamente nel Al Sadd (Quatar) e nel FC Barcellona. I risultati delle loro prove sono stati decisamente superiori a quelli di altri professionisti.
Anche sul campo i due giocatori, nonostante siano fisicamente più piccoli dei colleghi, hanno performance in media più elevate in termini di gol segnati e assist. Secondo gli scienziati questo test sarebbe quindi anche in grado di prevedere le prestazioni di gioco di un calciatore almeno per i due anni successivi.
Che giocatore sei? Ma il calcio è un gioco di squadra. Per questo motivo i ricercatori svedesi si stanno ora concentrando sull’identificazione dei diversi profili cerebrali che caratterizzano i vari ruoli dei calciatori.
Centrocampisti come Xavi e Iniesta, per esempio, devono essere particolarmente abili a tenere traccia della posizione di compagni e avversari per tutta la durata dell’incontro.
Al contrario dei centrocampisti, che devono saper prendere decisioni rapidissime e agire d’istinto per riuscire a segnare, ai difensori è richiesta la capacità di prevedere e anticipare le mosse degli avversari.
L’abilità di coach e team manager, quindi, non è solo quella di saper selezionare e allenare i campioni, ma soprattutto quella di creare nella squadra il giusto mix di cervelli (oltre che di piedi).
I ricercatori si augurano quindi che il loro metodo venga impiegato su larga scala nel mondo dei professionisti, e che siano gli stessi calciatori a volersi sottoporre all’esame per scoprire i propri punti di forza e le aree di miglioramento.