Ancora a fine Ottocento la letteratura e l'immaginario popolare rappresentavano le persone di colore come poco più che animali, così "diverse" da essere percepite come scimmie. I tempi sono cambiati, ma... lo studio di una psicologa americana (lei stessa di colore) evidenzia come il pregiudizio nei confronti dei neri restano ancora forti, almeno nell'inconscio.
Andrea Porta, 26 febbraio 2008
Un'illustrazione da Indigenous Races of the Earth, studio antropologico americano del 1857 (vedi testo principale). L'uomo di colore ("negro") è visto come "l'anello mancante" tra l'occidentale perfetto, rappresentato dalla statua greca dell'Apollo Belvedere, e un giovane di scimpanzé. |
Possono anche dirsi culturalmente aperti, ma un fondo di razzismo permane in tutti i "bianchi". È più o meno questa la conclusione a cui è giunta Jennifer Eberhardt, psicologa alla Stanford University (California, Usa), in uno studio sul razzismo nei confronti degli afroamericani. La tesi appare forse troppo forte, eppure, secondo la ricercatrice, ci sono validi motivi per supporre che ancora oggi i bianchi nordamericani percepiscono i neri come fossero poco più che scimmie.
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In un primo esperimento, a un gruppo di volontari sono state presentate per alcune frazioni di secondo i volti di bianchi e neri. Successivamente i soggetti dovevano identificare il contenuto di immagini sfuocate, alcune delle quali raffiguranti scimmie. Con triste sorpresa della studiosa, i soggetti a cui erano stati mostrati i volti dei neri riconoscevano le scimmie più rapidamente, segno che l'associazione tra primati e uomini di colore è ancora radicata a livello inconscio, tanto da indirizzare la mente nella "lettura" dell'immagine da identificare. «Gli afroamericani sono ancora "de-umanizzati" e visti quasi come scimmie», spiega la Eberhardt, «e questa associazione può portare alcuni a giustificare la violenza e la discriminazione.» In un secondo esperimento, infatti, 115 maschi bianchi sono stati sottoposti prima alla visione subliminale di parole, alcune delle quali legate al "scimmiesco" (scimpanzé, gorilla eccetera), e poi alla visione di un filmato in cui alcuni poliziotti picchiavano, senza motivo apparente, un uomo di cui non era evidente il colore della pelle, ma che ad alcuni dei soggetti era presentato come un nero e ad altri come un bianco. Risultato? Chi credeva di aver visto il pestaggio di un uomo di colore e aveva "letto" le parole connesse alle scimmie, mostrava una maggiore propensione a giustificare l'atto di violenza.
Mentalità dura da eliminare
Il pregiudizio che vede i neri come vicini alle scimmie non è nuovo: a metà Ottocento gli antropologi americani Josiah C. Nott e George Robins Gliddon, in Indigenous Races of the Earth (1857), collocavano gli uomini di colore a metà strada del percorso evolutivo che va dallo scimpanzé all'uomo perfetto, identificato con il "tipo greco". «Non so fino a che punto si riuscirà a superare questo modo di pensare», commenta la scienziata, «né quanto esso influenzi molte diseguaglianze sociali. Sono però fiduciosa per il futuro.»