Psicologia

Bambini indifesi fanno l'uomo intelligente

Una nuova, affascinante teoria sulle origini delle avanzate capacità cognitive umane: potrebbero essersi evolute in risposta ai bisogni di neonati dipendenti dagli adulti in tutto e per tutto.

L'evoluzione è un processo avaro di bonus: dà a una specie lo stretto necessario per svilupparsi nella sua nicchia, ma non molto di più. Questa regola non sembra però valere per l'intelligenza umana.

Difficile immaginare che un cervello capace di elaborare complessi teoremi matematici o di entusiasmanti scoperte scientifiche, e che consuma un quarto delle riserve di ossigeno del corpo umano, si sia evoluto soltanto per semplici esigenze di sopravvivenza.

Un'altra ipotesi. L'uomo potrebbe aver sviluppato un'intelligenza così raffinata in risposta alla vita di gruppo, o per una forma fortunata di selezione sessuale. Ma uno studio della Rochester University di New York fornisce una diversa spiegazione: siamo divenuti tanto astuti grazie ai nostri - indifesi e per nulla autonomi - neonati. La ricerca è descritta su Proceedings of the National Academies of Science.

Bisognosi di cure. A differenza di altri cuccioli animali, capaci di muoversi sulle proprie zampe già a poche ore dalla nascita, gli esseri umani impiegano circa un anno anche solo per stare in piedi, e hanno bisogno dei genitori per molto tempo, prima di essere almeno in parte autonomi.

Nascita precoce. Si pensa che questo estremo bisogno di aiuto sia una conseguenza dell'intelligenza (o meglio, delle dimensioni sviluppate del cervello umano). Per riuscire a passare attraverso il canale del parto, gli umani devono nascere per forza in uno stadio ancora acerbo dello sviluppo cerebrale rispetto ad altri mammiferi.

In mani sicure. Steven Piantadosi e Celeste Kidd, i due autori dello studio, pensano che l'essere indifesi e poco autonomi sia anche una causa dell'intelligenza umana. Esseri così vulnerabili hanno bisogno di adulti dalle spiccate doti cognitive che possano prendersi cura di loro.

Ipotesi circolare. D'altro canto per diventare adulti intelligenti, bisogna nascere con un cervello dallo sviluppo ancora solo potenziale, e partire da una condizione di totale dipendenza dagli altri, come è per i neonati: si crea così un circolo virtuoso che potrebbe aver potenziato, nel tempo, le nostri doti intellettive.

Le prove. Gli scienziati hanno convalidato la loro teoria attraverso modelli matematici, e l'hanno poi testata nel mondo reale, raccogliendo dati sullo sviluppo di 23 diverse specie di primati, dai gorilla ai lemuri del Madagascar.

Hanno confrontato l'età di svezzamento dei cuccioli (indicativa della loro autonomia) con i dati sull'intelligenza di ogni specie, scoprendo così che l'età di svezzamento predice circa il 78% del punteggio di intelligenza totale (le specie con più elevate capacità cognitive sono dipendenti dalla madre più a lungo).

Una missione impegnativa. I ricercatori hanno anche portato altri dati a supporto della loro ipotesi: per esempio, uno studio svolto su madri serbe nel 2008, che dimostra che i figli di donne con QI più elevato hanno più chance di sopravvivere.

Accudire un neonato è quindi un compito che richiede, e che potrebbe aver contribuito a sviluppare, un'elevata intelligenza.

La teoria non è priva di debolezze: per esempio, che cosa ha innescato questo circolo virtuoso? Fattori ambientali? La selezione sessuale? Un misto di entrambe le cose? Ma quella avanzata rimane un'ipotesi affascinante.

3 giugno 2016 Elisabetta Intini
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