Psicologia

Un'app per scoprire se siamo a rischio depressione

L'idea è di una startup californiana: una app che cerca i sintomi della depressione (o i tratti distintivi di una predisposizione) nel modo in cui usiamo lo smartphone. La comunità scientifica però è (quasi tutta) scettica...

Dimmi come usi lo smartphone e ti dirò se sei depresso: sembrerebbe un titolo ad effetto, invece è l’ultima invenzione della Silicon Valley: un’app in grado di diagnosticare i disturbi dell’umore dal modo in cui utilizziamo il cellulare.

Mindstrong Health, una startup fondata a Palo Alto, in California, da un team di medici, tra cui Tom Insel, ex direttore del National Institute of Mental Health americano, sta cercando di dimostrare che la nostra ossessione per la tecnologia si porta dietro qualcosa di positivo: può aiutare le persone a individuare (e in parte curare) depressione, schizofrenia, disturbo bipolare, disturbo da stress post-traumatico e abuso di sostanze.

Il tutto grazie a un'app, che sarebbe in grado di raccogliere dati sulla salute emotiva delle persone analizzando come queste usano i loro smartphone. Una volta installata, l'app di Mindstrong monitora tutto ciò che la persona fa quando ha il telefono in mano: il modo in cui digita le parole sullo schermo, la frequenza e le posizioni dei tocchi, le traiettorie degli "scorrimenti"... I dati vengono così crittografati e analizzati utilizzando il cosiddetto machine learning (l’apprendimento automatico). I risultati vengono poi condivisi con il paziente e il medico.

Male oscuro. A sentire i suoi creatori, il modo apparentemente banale di come interagiamo con il nostro telefono offrirebbe invece indizi sorprendentemente importanti sulla nostra salute mentale. Del resto non è la prima volta che la tecnologia si sperimenta nella cura i disturbi dell’umore e del comportamento: in passato sono state utilizzate app anti ansia e terapie basate sui videogiochi; inoltre ci sono studi che hanno preso in considerazione come indice di depressione anche le foto pubblicate su Instagram. Mindstrong promette di fare un passo avanti, perché considera non tanto quello che facciamo al telefono, ma come lo facciamo. Un tocco più o meno deciso, un uso prolungato di alcune app e l’uso stesso del telefono, potrebbe alla lunga essere il sintomo di quello che lo scrittore Giuseppe Berto chiamò “Il male oscuro”.

I test. Per testare l’app sono stati coinvolti all’inizio del progetto, circa 5 anni fa, 150 volontari a cui è stata fatta una valutazione neurocognitiva per analizzare, con metodi già consolidati, aspetti legati alla memoria episodica (come si ricordano gli eventi) e alla funzione esecutiva (abilità mentali che includono la capacità di controllare gli impulsi, gestire il tempo e concentrarsi su un compito): si tratta delle funzioni cerebrali che risultano indebolite nelle persone che soffrono di disturbi del comportamento.

I volontari sono poi tornati a casa con un'app, installata nello smartphone, che ha iniziato a raccogliere dati che, man mano, venivano inviati a un server remoto.

Analizzando i risultati, i ricercatori del team di Mindstrong Health sostengono di aver trovato molte connessioni che confermavano i test classici, somministrati ai volontari. Per esempio, i problemi di memoria, che, comuni dei disturbi cerebrali, potrebbero essere individuati osservando la rapidità con cui digitiamo le parole oppure analizzando gli errori che commettiamo (e la frequenza con cui eliminiamo certi caratteri), ma anche misurando la velocità di con cui scorriamo verso il basso di un elenco di contatti.

Studi in corso. Nella comunità scientifica l’app desta - prevedibilmente - un po’ di scetticismo. Ma Paul Dagum, fondatore di Mindstrong Health, ribatte che migliaia di persone stanno già usando l'app. E che l'azienda, che ora ha messo insieme 5 anni di dati di studi clinici che possono confermare le sue teorie, dallo scorso marzo ha iniziato a lavorare con pazienti e medici nelle cliniche. Non solo: anche importanti centri di ricerca ne stanno studiando il potenziale.

Uno studio in corso presso l'Università del Michigan sta, per esempio esaminando se Mindstrong possa risultare utile per le persone che non soffrono di un disturbo mentale, ma che hanno un alto rischio di depressione e suicidio. Diretto da Srijan Sen, docente di psichiatria e neuroscienze, lo studio monitora gli stati d'animo dei medici al primo anno di lavoro in tutto il Paese: si tratta di persone per a forte rischio, che sperimentano situazioni di stress intenso, con frequente privazione del sonno e tassi alti di depressione.

I partecipanti registrano il loro umore ogni giorno e indossano un rilevatore di attività Fitbit per registrare i dati relativi a sonno, attività e frequenza cardiaca. E circa 1.500 di loro usano anche l’app di Mindstrong per raccogliere dati sui modi in cui digitano e capire come cambiano le loro condizioni mentali durante l'anno. È uno studio che fornirà dati molto importanti: il professor Sen infatti ipotizza che i modelli di memoria delle persone e la velocità del pensiero cambino in modo sottile prima che si rendano conto di essere depressi, anche se non è facile capire dopo quanto tempo si manifestano i sintomi, o quali modelli cognitivi possono davvero predire la depressione.

Monitoraggio. Da parte loro, i creatori di Mindstrong Health sono convinti che l’app non solo possa aiutare nella diagnosi, ma anche nel monitoraggio 24 ore su 24.

Tom Insel, lo psichiatra del team, dice che il telefono sarà la chiave per capire altri sintomi con discrezione, in un modo che «si adatti perfettamente alla vita normale dei pazienti», sottolinea.

27 ottobre 2018 Eugenio Spagnuolo
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