Psicologia

7 cose che (forse) non sai sul bullismo

Dalla sorprendente etimologia di bullo alle ricerche scientifiche, che sfatano molti luoghi comuni su un fenomeno che, secondo l'Istat, riguarda un ragazzino su due.

In Italia secondo l’Istat il bullismo si sta diffondendo in modo preoccupante: un ragazzino su due ne sarebbe vittima, soprattutto nella fascia d’età compresa fra 11 e i 17 anni (anche se il periodo più critico è fra 11 e 13: l’età delle scuole medie). Ma cos’è il bullismo? Da quanto se ne occupano gli psicologi? È un fenomeno limitato agli anni della scuola? Qual è la miglior risposta ai bulli secondo gli psicologi? Lungi dal voler tentare di proporre la soluzione a un fenomeno complesso e preoccupante, ci sono almeno 7 fatti che possono aiutarci a conoscerlo.

1. etimologiA capolovolta. Il termine bullo viene dall’anglosassone bully (a sua volta debitore dell'olandese boel), che in origine - l'avreste mai immaginato? - aveva un’accezione positiva: era usato come sinonimo di tesoro e, in seguito, di bravo ragazzo. “Il senso attuale risale alla fine del 17 ° secolo”, scrive l’Oxford Dictionary.

2. E oggi? La parola alla Treccani, che di bullismo dà una definizione inequivocabile: “atteggiamento di sopraffazione sui più deboli, con riferimento a violenze fisiche e psicologiche attuate specialmente in ambienti scolastici o giovanili”.

3. Le parole per dirlo. Sono “solo” 45 anni, che gli psicologi se ne occupano: Then Olwens, il primo ricercatore a indagare sul bullismo - nel 1973, in Norvegia - usò la parola mobbing per descriverlo. Alcuni paesi occidentali l'hanno presa a prestito per indicare il bullismo. In realtà, secondo uno studio condotto in 14 Paesi occidentali, ci sono almeno 67 parole che girano attorno allo stesso concetto. E quasi tutti i termini sarebbero a loro volta riconducibili a 6 tipi di bullismo: bullismo in generale, bullismo verbale e bullismo fisico, bullismo verbale, esclusione sociale, aggressione fisica e aggressione non solo fisica. Il sito Bullyingstatistics semplifica ulteriormente, incasellando gli atti di bullismo in 4 categorie: il bullismo verbale (offese, nomignoli, molestie), il bullismo sociale (pettegolezzi a diffusione di voci), quello fisico (pugni, colpi, spintoni) e il cyberbullismo (qualsiasi forma di molestia attraverso Internet). Secondo gli psicologi, ciascuna di queste forme è ugualmente dannosa, anche se solo il bullismo fisico mostrai segni più evidenti.

4. L'INTELLIGENZA dei bulli. I bulli hanno un quoziente di intelligenza basso? Non è detto. Chantal Gautier, docente di psicologia all’Università di Westminster avverte: «I bulli sono stati tradizionalmente considerati avere un basso quoziente intellettivo ed essere socialmente inetti - privi di cognizione sociale. Ora sappiamo che spesso non è così, e questo può contribuire a far sì che alcune persone non si riconoscano come bulli». Alcuni ricercatori hanno trovato prove del fatto che i bulli in realtà ottengono un punteggio elevato nelle loro capacità di elaborazione delle informazioni sociali , poiché riconoscere chi scegliere come target richiede una certa abilità.

Quello che fanno spesso i bulli è cercare persone con bassa autostima. In tal modo, mantengono la loro posizione e aumentano la loro fiducia, il che a sua volta aumenta la propria autostima a livelli irrealisticamente elevati. «Tuttavia», conclude la psicologa, «i bulli spesso non hanno empatia, cioè senso di comprensione di come potrebbero sentirsi coloro che sono colpiti dai prepotenti».

5. La risposta ai bulli. In un articolo su Psicology Today, lo psicologo Shawn T. Smith, autore del best seller Surviving Aggressive People (Sopravvivere alle persone aggressive), ha spiegato che quando si ha a che fare con bulli e predatori “la risposta non deve essere perfetta o elegante. Deve essere tempestiva”. Ecco un articolo di nostrofiglio.it con qualche suggerimento per genitori.

6. Bullismo in ufficio. Sebbene sia diffuso soprattutto tra gli adolescenti, ci può essere bullismo anche sul posto di lavoro. Il bullismo sul posto di lavoro include minacce, umiliazioni, abusi verbali e sabotaggi. Vi suona familiare? Un'indagine del 2014 del Workplace Bullying Institute ha rilevato che il 27% dei lavoratori ha subito una sorta di bullismo sul lavoro. Quelli che più probabilmente sono bulli sono i capi, e il 72% dei datori di lavoro "nega, scsminuisce, incoraggia, razionalizza o difende" il bullismo.

7. Bulli e vittime: tutti infelici. Se è vero che il bullismo può provocare molti danni psicologici (e non solo) alle vittime, chi si rende autore di atti di bullismo spesso va incontro allo stesso destino: uno studio del 2013 dell'Association for Psychological Science ha rilevato che sia i bulli quanto le loro vittime avranno probabilità di soffrire, entrando nell'età adulta. Secondo lo studio, entrambi, dunque non solo le vittime, rischieranno di avere maggiori probabilità di sperimentare fallimenti scolastici, perdita del lavoro in età adulta e povertà. Potrebbero anche essere più propensi a diventare tossicodipendenti e criminali, a differenza di quelli che non hanno mai avuto a che fare direttamente con il bullismo, né come vittime né come carnefici.

25 novembre 2018 Eugenio Spagnuolo
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