Immaginate di incrociare per strada una ragazza stupenda: tacchi a spillo, curve al posto giusto, labbra carnose… insomma, uno schianto. Se però invece che voltarvi a guardarla, iniziate a tremare e a sudare freddo, mentre un senso di nausea e oppressione vi attanaglia, allora probabilmente soffrite di caligynefobia, un terrore smisurato per le belle donne. Magari "condito" con un tocco di philematofobia, una fifa matta dei baci. Se invece a spaventarvi sono solo i baci di vostra suocera, forse siete affetti da penterafobia (un’avversione ingiustificata per la madre di vostra moglie).
Elenco senza fine
E l’elenco delle fobie più insolite potrebbe continuare all’infinito, c’è chi non sopporta la vista delle ginocchia - neanche delle proprie - (genufobia), chi trema, e non solo di freddo, quando nevica (quionofobia) e chi ha talmente paura delle ombre da ridursi a vivere nel buio più assoluto. Altri temono gli angoli di case e palazzi (gonofobia), vanno in panico davanti a un minestrone di verdure (lachanofobia) o alla sola vista di un pc (i ciberfobici, che difficilmente leggeranno queste righe). Disturbi un po’ insoliti, certo, ma seri e invalidanti, che possono colpire un po’ tutti, indistintamente.
Ce n'è per tutti
«La paura è democratica», afferma Giorgio Nardone, psicologo, psicoterapeuta e direttore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo (un istituto di ricerca, training e cura di queste patologie), «in 15 anni di terapia ho incontrato oltre 10 mila pazienti, il 52% dei quali donne, il 48% uomini. Non c’è quindi una differenza significativa tra sessi, né tra ceti sociali. Neppure medici e psicologi, che con le fobie hanno a che fare ogni giorno, ne sono immuni».
Insomma se eravate rimasti alla paura per ragni e serpenti, è ora di aggiornare il glossario. Chi ha provato a catalogare una per una tutte le fobie più strane infatti, è riuscito a contarne oltre un migliaio, accatastate in lunghi dizionari online che spesso più che offrire un valido sostegno terapeutico a chi è affetto da questi disturbi, soddisfano la curiosità degli utenti "sani".
Aiuti... un po' inutili
Interessante a questo proposito, il caso segnalato il 21 aprile 2007 alla rivista «New Scientist». Visitando Changethatsrightnow.com, un sito americano che si proponeva come aiuto contro fobie e attacchi di panico, un attento lettore aveva cliccato sulla voce "Phone phobia" (telefonofobia), definita come una paura "persistente, anormale e ingiustificata dei telefoni". Dopo una breve presentazione, ecco l'invito: "Per parlare con uno specialista, contattaci ora". E subito il link a un numero verde (1-800-828-7484), con effetti prevedibili sul povero telefonofobico. Non è uno scherzo, è tutto vero, provare per credere (il link al "minaccioso" numero verde è ancora lì, a due anni di distanza).
|
Hai paura? Paga!
Hippopotomonstrosesquippedaliophobia
Sesquipedalophobia
identica a quella consigliata ai fobici del telefono
Qualcuno sulle fobie più bizzarre ci specula, altri ci scherzano, quasi tutti ci incuriosiamo. Eppure si tratta di patologie che possono rendere la vita di chi ne soffre particolarmente dura. Sì perché se alcune paure sono più facilmente condivisibili, altre sembrano troppo fuori dalle righe per essere accettate.
Paure "accettabili"...
Provate a pensare di rimanere bloccati in ascensore, in bilico tra due piani alti. Bè in una simile circostanza, nessuno si stupirebbe più di tanto, se vi venisse un attacco di claustrofobia. Ma che pensereste se un vostro collega vi confessasse di avere una paura tremenda di scale e gradini (batmofobia)? O se ogni giorno dopo inutili tentativi e crisi di panico, vi implorasse di fare quella telefonata al posto suo perché solo a comporre il numero, si sente venir meno?
... e difficili da accettare
Difficile confessare ad amici e conoscenti di avere il terrore di oggetti e situazioni apparentemente così "innocui". Si rischierebbe, è il primo pensiero di chi è affetto da disturbi tanto specifici, di venir presi per matti. O di essere considerati dei deboli o dei viziati.
E in effetti, come reagireste se scopriste che a bloccare in casa un vostro parente, è una paura smisurata per le raffiche di vento (anemofobia)? O un timore incontrollabile per le ombre (sciofobia), che lo costringe a rinchiudersi in una stanza buia evitando così ogni contatto con l’esterno?
E che dire dei malati di ciberfobia (paura dei Pc) che non riuscirebbero a compiere un sempre maggior numero di lavori e professioni?
|
Malati come gli altri
"Paura" di chiedere aiuto
Da dove nascono le fobie? Su questo punto gli esperti ancora si dividono. C’è chi, come lo studioso spagnolo Xavier Estivill, pensa che su questi disturbi pesi in parte una componente genetica. Esaminando il DNA di un gruppo di persone affette da attacchi di panico, fobie e altri disturbi d’ansia, lo scienziato ha notato che il 97% di loro presentava una duplicazione del materiale genetico presente in un particolare cromosoma, il 15.
È quindi possibile, ipotizza Estivill, che i geni siano in qualche modo coinvolti nell’origine di queste incontrollabili paure.
Educati ad aver paura
Secondo un orientamento più relazionale invece, le fobie si "apprendono" con l’età, attraverso il rapporto con genitori e altri educatori. «Chi proviene da una famiglia iperprotettiva è più frequentemente a rischio di incorrere, nel corso della sua vita, in simili disturbi. Quando incontrerà ostacoli più grandi di quelli che è abituato ad affrontare, non avrà gli strumenti per superarli", spiega Nardone.
Ipotesi psicoanalitica
Più incentrata sull’individuo la teoria di Sigmund Freud: osservando il caso del piccolo Hans - un bambino di 5 anni terrorizzato dall’idea di essere morso o investito da un cavallo - il padre della psicanalisi ipotizzò che le fobie altro non fossero che tentativi di "spostare" l’attenzione da un disagio interiore a un oggetto esterno e più facilmente controllabile (a impaurire Hans per Freud, era in realtà una forte soggezione verso il padre).
Opportunisti paurosi
Infine, ipotizzano alcuni studiosi, le fobie potrebbero essere lette come tentativi inconsapevoli di ottenere dagli altri piccoli "vantaggi": se abbiamo paura di guidare, in fondo ci sarà sempre qualcuno costretto a scarrozzarci, salvandoci dallo stress di code e parcheggi.
Armi di soppravvivenza
Qualunque sia la sua origine, la paura è una zavorra che ci portiamo dietro da sempre. Anche i nostri antenati preistorici probabilmente, soffrivano di ceraunofobia, avevano cioè una terrore incontrollato dei fulmini. Fu proprio quest’istinto primitivo - quasi un "sistema d’allarme" che allerta i sensi e prepara il corpo a reagire - che insegnò loro come schivarli. «La paura è la migliore arma di sopravvivenza che abbiamo», continua Nardone, «il problema è se la reattività sale oltre un certo livello, arrivando a bloccarci». Nessuna sorpresa dunque, se tra gli stimoli fobici più comuni compaiono il sangue, l’altezza e gli animali (cioè le stesse paure che tormentavano i nostri progenitori). In particolare tra gli animali più temuti, troviamo i serpenti. Fatto strano visto che attualmente, è molto più facile morire in un incidente d’auto che per il morso di un cobra. Ma tutto torna ipotizzando che nella nostra "memoria evolutiva", sia rimasta traccia dei pericoli che circondavano i nostri antichi predecessori (per saperne di più).
Evoluzione delle paure
In cima alla lista delle zoofobie più diffuse, comunque, c’è oggi quella per i piccioni: segno che le paure cambiano nel tempo, proprio come le mode. Molto diffuse anche le patofobie, timori immotivati di essere affetti da un male incurabile. Secondo una recente rilevazione empirica condotta su scala nazionale, questi malati immaginari, che si sottopongono a esami diagnostici continui e invasivi, sono il 6-7% della popolazione italiana. Oltre 2 milioni di persone che oltre a provare un forte disagio personale, aggravano il bilancio del servizio sanitario dello stato.
D’accordo la fobia delle lontre (lutrafobia) per chi abita in città, può non essere particolarmente invalidante: basta evitare fiumi e parchi naturali e il problema non si pone. Ma il punto è che dietro a questa e altre paure così specifiche, si nasconde spesso un disagio personale più serio.
Perché allora non provare a risolverlo? Gli approcci terapeutici non mancano.
La psicoterapia cognitivo comportamentale ad esempio, propone una progressiva "desensibilizzazione" dallo stimolo fobico, che porta gradualmente il paziente a scontrarsi con ciò che fa paura. Si comincia con la presa di coscienza della situazione temuta e la si avvicina a poco a poco per arrivare, se la cura ha successo, a viverla realmente (ma questa volta, liberi dal panico).
Un’altra possibile strada è la terapia breve strategica di Giorgio Nardone, che combatte le fobie attraverso efficaci "rituali scaccia paura", prescritti al paziente con un linguaggio ipnotico. Un esempio? A un ragazzo terrorizzato dall’idea di poter sbattere il naso contro gli specchi, il terapeuta ha consigliato di proteggersi con un casco da motocross. Tutto preso da questo nuovo compito, il giovane ha ripreso quasi senza accorgersene abitudini abbandonate da tempo a causa del suo disturbo. Riuscendo in breve ad abbandonare il terrore degli specchi (e il casco). In questo caso la fobia è stata sconfitta "solcando il mare all’insaputa del cielo", cioè "spostando l’attenzione dal tentativo di controllare la paura all’esecuzione di un compito distraente".
Combattere le fobie sociali
Diverso è il metodo psichiatrico che prevede, per alcuni tipi di fobie sociali – disturbi che portano chi ne soffre a rinchiudersi in se stesso evitando il contatto con gli altri – il trattamento con farmaci antidepressivi come la paroxetina.
Questi farmaci riducono i sintomi esterni del disturbo, non ne combattono le cause alla radice. E in più presentano il rischio di dipendenza.
Doping sociale
E anche i non fobici possono abusare di queste sostanze per compiere le loro attività quotidiane: parlare davanti a una platea metterebbe un po’ in soggezione chiunque e, nella maggioranza dei casi, non si tratterebbe di una fobia e neppure di ansia sociale. Ma ricorrere a un farmaco (un cosiddetto lifestyle drug di ci siamo già occupati nello speciale Le medicine per cambiar vita) per affrontare meglio questa realtà è una scorciatoria. Molto pericolosa.
Per saperne di più, G. Nardone, Non c’è notte che non veda il giorno: la terapia in tempi brevi per gli attacchi di panico, Ponte alle Grazie, Milano 2003.