Scienze

Un Nobel per il suicidio cellulare

Il premio Nobel per la medicina a studiosi dell'apoptosi, la morte programmata delle cellule.

Un Nobel per il suicidio cellulare
Il premio Nobel per la medicina a studiosi dell'apoptosi, la morte programmata delle cellule.

Sidney Brenner, il più famoso tra gli studiosi della morte cellulare programmata. Tre ricercatori hanno ricevuto il premio Nobel per la medicina.
Sidney Brenner, il più famoso tra gli studiosi della morte cellulare programmata. Tre ricercatori hanno ricevuto il premio Nobel per la medicina.

Suicidio cellulare. Non suona bene la motivazione per il premio Nobel per la medicina del 2002. Ma il processo del suicidio cellulare, in gergo apoptosi, è importantissimo per la vita, e non solo degli esseri umani. Durante lo sviluppo embrionale di ogni essere vivente, l'aumento del numero delle cellule porterebbe a un corpo informe e senza progetto: ma proprio la morte programmata e "mirata" di alcune cellule, in parti specifiche del corpo, permette di "scolpire" la crescita e avere un organismo che obbedisce al progetto del Dna. I tre studiosi che hanno ricevuto il premio Nobel, Sidney Brenner, John Sulston e Robert Horvitz, hanno studiato il processo di apoptosi in una specie piccola, ma molto usata nei laboratori, il verme nematode Caenorhabditis elegans.
Vermi matematici. I nematodi hanno una caratteristica molto particolare, cioè tutte le loro cellule (che sono precisamente 959) hanno una sorte ben precisa fin dalla nascita, e ognuna di esse "sa" quale sarà la sua posizione dall'uovo all'adulto. Anche quelle destinate a morire sono determinate fin dalla fecondazione dell'uovo. Fu Brenner il primo a capire che il nematode era un ottimo modello per studiare lo sviluppo e la sorte di ognuna delle cellule. Sulston proseguì il lavoro pionieristico di Brenner, e Horvitz scoprì il programma genetico che governava l'apoptosi delle cellule, identificando due "geni di morte". L'ultima scoperta di Horvitz fu quella di un gene che proteggeva dalla morte cellulare.
Queste ricerche potranno avere conseguenze anche sullo studio del comportamento delle cellule umane nello sviluppo, e sulla cura di alcune malattie in cui il suicidio cellulare è devastante, come l'Aids e l'infarto al miocardio, oppure al contrario quando l'apoptosi non avviene abbastanza spesso, come nei tumori e nelle malattie autoimmuni.

(Notizia aggiornata al 8 ottobre 2002)

Per saperne di più:
Jean Claude Ameisen. Al cuore della vita. Il suicidio cellulare e la morte creatrice. Feltrinelli.

7 ottobre 2002
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