Non solo inverni miti ed estati sempre più torride: i cambiamenti climatici potrebbero presto spingere il mondo verso la più grave crisi economica della storia. A dipingere questo scenario è Paul Griffin, docente di economia della UC Davis Graduate School of Management, in uno studio pubblicato su Nature Energy e ripreso tra le notizie dell'università. Secondo Griffin a spingere il mondo finanziario verso il baratro della recessione saranno i titoli del comparto energetico, il cui prezzo di scambio non tiene conto del rischio provocato dagli eventi meteorologici estremi, che in qualsiasi momento possono mettere a rischio impianti e reti di distribuzione. E come la storia dei crack finanziari ci ha insegnato, il crollo del mercato dell'energia trascina con sé gran parte dei titoli e dei prodotti finanziari.
Rischi nascosti, ma non troppo. Il problema di questo rischio non calcolato non è affatto nuovo: la recessione economica del 2007-2008, per esempio, è stata innescata dai titoli del comparto creditizio, andato in crisi perché il prezzo dei titoli non teneva conto del rischio di insolvenza di una così grande quantità di persone. Oggi gran parte del rischio del sistema economico è retto dalle aziende che operano nel settore dell'energia: «se dovesse collassare sarebbe la fine», spiega Griffin.
Temperature estreme come quelle che hanno investito Europa e Stati Uniti la scorsa estate non sono solo pericolose per la salute, ma possono anche compromettere i raccolti e mandare in tilt le reti di distribuzione dell'energia elettrica: a luglio 2019 è successo in Nord Carolina e, come molti ricorderanno, in vaste zone del nord Italia, che hanno sperimentato più di qualche black-out. Eventi come inondazioni e tempeste possono inoltre mettere in crisi le vie di comunicazione, danneggiare i trasporti e piegare per mesi l'economia di intere regioni. «Sebbene questi rischi siano ovvi ed evidenti, si assiste a una generale lentezza nel correlare questi fenomeni con le valutazioni di mercato», afferma Griffin.
Modelli antiquati. Cambiamenti climatici ed eventi estremi impattano in modo diretto sul mercato dell'energia: gran parte delle raffinerie di petrolio americane si affacciano sul Golfo del Messico, una zona soggetta all'innalzamento del livello dei mari ed esposta a forti tempeste. Tutti rischi che i modelli economici attuali non prendono ancora in considerazione, spiega Griffin, poiché si tratta di fenomeni ancora troppo "nuovi" per permettere la messa a punto di modelli previsionali validi basati su dati del passato.
Il costo del virus. Ma non è solo il clima a mettere a rischio l'economia mondiale: qualche settimana fa l'Istituto per gli Studi Politici Internazionali ha fatto il conto di quanto potrà costare il nuovo coronavirus a livello globale. La prima a farne le spese sarà senza dubbio la Cina, il cui PIL, il prodotto interno lordo, crollerà verticalmente nel primo trimestre dell'anno, e dato che la Cina è la seconda economia del mondo, le ripercussioni su tutti i suoi interlocutori commerciali, Italia inclusa, saranno inevitabili: fino a oggi, 46 compagnie aeree hanno interrotto i collegamenti con la Cina, e per la prima volta il "sistema moda" del nostro Paese ha previsto un primo trimestre negativo che farà segnare un -1,5%. Senza calcolare l'impatto sul turismo: secondo Assoturismo Confesercenti, tra disdette e mancate prenotazioni da parte di turisti cinesi e non, il coronavirus costerà al nostro Paese 1,6 miliardi di euro.
Luci e ombre. Chiudiamo però con una nota di (in)cauto ottimismo: la crisi innescata dal coronavirus ha notevolmente ridotto le esportazioni di petrolio dai Paesi del Golfo Persico verso la Cina. La conseguenza è un forte calo della quotazione del greggio, che nelle ultime settimane ha raggiunto il prezzo più basso degli ultimi 12 mesi. Diverse compagnie petrolifere hanno quindi scelto di ridurre il prezzo alla pompa di diesel e benzina, a tutto vantaggio degli automobilisti. Buone notizie per l'ambiente, si direbbe, se non fosse che il crollo dei prezzi del petrolio è, sempre, un campanello d'allarme sullo stato di salute dei commerci e dell'industria, oltre a scoraggiare fortemente qualunque investimento in ricerca sulle energie alternative.