A marzo 2016, il numero complessivo di piattaforme operative in attività di prospezione o di estrazione di petrolio e gas, nel mondo, è 1.551: quasi il 12% in meno di quelle in attività a febbraio (erano 1761) e il 18% in meno rispetto a gennaio 2016 (1891).
I dati sono di Baker Hughes Inc., colosso mondiale che fornisce servizi e consulenza alle compagnie petrolifere, che nel suo rapporto annuale mette in evidenza una riduzione del 40% rispetto a marzo 2015.
Il conteggio delle piattaforme non è un esercizio di statistica: è il barometro dello stato di salute del settore, spinto in un trend negativo dal basso prezzo del greggio (petrolio non raffinato), che a febbraio, per il Brent (il petrolio del Mare del Nord, usato come riferimento di mercato insieme al WTI, il West Texas Intermediate), si aggirava attorno ai 32 dollari al barile (oggi, 14 aprile, il Brent è a 44 dollari al barile).
Prezzi bassi fanno male all'ambiente. Nonostante le sporadiche e instabili oscillazioni al rialzo, ciò che succede è che le compagnie petrolifere hanno ridotto spese e investimenti in estrazione e ricerca di nuovi giacimenti, in qualche caso in modo significativo. Negli Stati Uniti, per esempio, il numero di trivelle in attività non è mai stato così basso da 60 anni a questa parte. Gli impianti non vengono smantellati: sono fermati e messi in stand-by, in attesa che il prezzo del barile torni vantaggioso - almeno secondo i criteri delle aziende interessate.
Scenario, quest'ultimo, che gli analisti della Baker Hughs e di altre società di consulenza non vedono all'orizzonte. Anzi, prevedono il fermo di altri impianti di estrazione, oltre l'aumento di richieste di sovvenzioni e altri paracadute finanziari da parte delle compagnie petrolifere.
In più, aggiungiamo noi, il prezzo del barile così basso ha forse un piccolo impatto positivo sulla nostra spesa procapite, ma un grande impatto negativo sull'ambiente e sulla ricerca. Con il "petrolio regalato" diventa più difficile che i grandi investitori privati trovino vantaggioso impegnare capitali nella ricerca di soluzioni alternative agli idrocarburi, e diventa più difficile per i decisori politici fare scelte impopolari ma indispensabili, prendendo con decisione la strada che dovrebbe portarci fuori dall'economia del petrolio.