Un aspetto poco sottolineato del vasto e sempre drammatico fenomeno delle migrazioni di cui sentiamo ogni giorno parlare riguarda i cambiamenti climatici. Se non faremo nulla per mitigare l'aumento della temperatura del pianeta (il riscaldamento globale), se non attueremo poliche efficaci per ridurre in modo significativo le emissioni di gas serra, in particolare il metano e l'anidride carbonica (CO2) frutto delle attività umane, da qui al 2100 i migranti che chiederanno asilo nell'Unione Europea arriveranno a triplicarsi.
Efficaci e significative. Purtroppo, perfino in uno scenario leggermente ottimistico, con le emissioni in lieve diminuzione (come sembra avvenire), l'aumento di profughi non sarà inferiore a un quarto di quello a cui stiamo assistendo.
Wolfram Schlenker, ricercatore (economia e scienze della Terra, Columbia University's School of International and Public Affairs), fa il punto sulla questione in un studio pubblicato su Science, dove senza mezzi termini dichiara che «l'Europa vedrà aumentare il numero di persone disperate e in fuga dai Paesi d'origine: i più poveri si trovano infatti nelle regioni più calde del pianeta, che sono anche le più vulnerabili ai cambiamenti climatici».
La ricerca ha preso in esame le domande di asilo alla UE presentate da persone di 103 Paesi, presentate tra il 2000 e il 2014, e le ha confrontate con i dati ufficiali delle variazioni di temperatura registrate per ciascuno dei Paesi rappresentati. I risultati sono chiari: quanto più le temperature che interessano le grandi aree agricole deviano dai 20 °C durante la stagione delle coltivazioni, tanto più le persone sono indotte a migrare.
In fuga dalla fame. Nella media, le colture rendono al meglio quando le temperature si aggirano attorno ai 20 °C: se i valori si discostano troppo e troppo a lungo da quelli medi, il rendimento cala anche drasticamente. Non deve perciò sorprendere che là dove sono più elevate, come in Iraq e in Pakistan, l'emigrazione aumenta, mentre si abbassa in luoghi meno caldi, come la Serbia o, dall'altra parte del mondo, il Perù.
Combinando i dati delle richieste di asilo in tutta Europa con le proiezioni sull'aumento della temperatura media globale, Schlenker calcola che in uno scenario ottimistico (quello che prevede di contenere l'aumento di temperatura entro 1,8 °C) le richieste di asilo cresceranno del 28% entro il 2100, che equivale a circa 98.000 richieste in più rispetto ad oggi. Se invece lo scenario fosse tra i peggiori, con temperature in aumento da 2,6 a 4,8 °C, il flusso migratorio aumenterebbe del 188%: circa 660.000 richieste d'asilo in più ogni anno nei Paesi dell'Unione Europea.
Siccità e altre catastrofi. Anche fenomeni climatici relativamente brevi causano migrazioni intense: numeri alla mano, è dimostrato che "shock di breve termine", come potrebbe essere El Niño, innescano disordini e guerre a livello globale.
Studi precedenti avevano già messo in relazione i cambiamenti climatici con la lunga siccità che ha funestato la Siria dal 2006 al 2010, alimentando le rivolte del 2011 e, in ultima analisi (e depurando il discorso dalle influenze e dagli interessi di altri Paesi), innescando una guerra civile (ancora in atto, a dispetto delle dichiarazioni ufficiali) che ha fatto almeno 500.000 vittime e costretto alla fuga oltre 5,4 milioni di siriani. La maggior parte di questi è attualmente "rifugiata" nei campi profughi della Giordania, ma molte decine di migliaia hanno tentato la via dell'Europa e, chi è riuscito nell'impresa, si trova oggi per lo più in Germania.
Il vero problema è che, se anche le guerre in Siria e in altri luoghi del mondo finissero per davvero, i cambiamenti climatici renderebbero problematico il rientro di queste popolazioni. Ecco dunque il grande valore del lavoro di Wolfram Schlenker e Anouch Missirian: un'importante chiave di lettura su ciò che accade fuori dal nostro orticello e sulla parte che noi e i nostri politici siamo chiamati a fare.