Se ne consumiamo in quantità tutto sommato modeste, è forse perché non lo conosciamo abbastanza: il miele, un prodotto della fatica (e della digestione) delle api, è nutriente, salubre, profumato, e riporta in barattolo la varietà e la ricchezza dei suoi territori d'origine.
Numeri alla mano. Nel 2018 le api italiane hanno prodotto 11.000 tonnellate di miele arrivato sul mercato: il fatturato del settore, tra miele, pappa reale, propoli, cera e altri prodotti ottenuti dall'apicoltura, ha raggiunto i 165 milioni di euro. Ogni italiano ha consumato in media mezzo chilo di miele (italiano o non), in forma diretta o indiretta, all'interno di prodotti dolciari come cereali, torroni e merendine: in Germania, dove questo prodotto e i suoi derivati hanno più estimatori, il consumo è stato di 1,6 kg pro-capite.
In Italia sono censiti attualmente 1,2 milioni di alveari: è il quinto Paese per produzione di miele nella UE (dopo Romania, Spagna, Ungheria e Germania). Rispetto ad altre regioni europee, il nostro Paese ha produzioni meno estese, ma vanta un'incredibile variabilità regionale, data dall'ampia gamma di paesaggi e tipologie di fioriture del nostro territorio.
Prodotto di eccellenza. Lavorano in questo settore circa 45 mila apicoltori, ventimila dei quali professionisti, che producono circa 50 varietà di mieli, oltre a infinite combinazioni di millefiori. La sinergia tra api e apicoltori rappresenta la prima, fondamentale parte del lavoro: per arrivare al prodotto miele occorre un passaggio successivo, che si compie negli stabilimenti dove avviene il confezionamento di questo alimento. Come ricorda il Gruppo Miele di Unione Italiana Food, associazione che riunisce oltre 450 imprese produttrici nel settore alimentare, sul fronte dei controlli, l'Italia spicca per requisiti e garanzie di Legge sul resto del mondo.
Le garanzie: composizione e provenienza. Negli stabilimenti di confezionamento, dai grandi fusti di miele sfuso in arrivo dai produttori si estraggono campioni preliminari che vengono sottoposti a rigorose analisi polliniche, chimiche e qualitative. Le prime, che si effettuano analizzando il miele al microscopio, forniscono la sua carta d'identità: poiché i pollini hanno forme diverse e ben riconoscibili, indicano da quali fiori è stato prodotto.
I mieli non hanno ingredienti aggiunti: a determinare il loro sapore, profumo, colore e consistenza sono le fioriture da cui sono stati ottenuti. Se nel periodo di raccolta di un miele c'è stata la prevalenza di un'unica fioritura, si parlerà di miele uniflorale (di acacia, corbezzolo, castagno, arancio, robinia…); se non c'è una prevalenza specifica avremo invece un millefiori.
È comunque impossibile che un miele uniflorale contenga nettare e polline di un'unica specie di pianta fiorita, visto che il 16% delle piante è visitato dalle api: una percentuale variabile di nettare e pollini "spuri" sarà presente anche nelle monocolture.
Il miele prodotto non dai fiori, ma dalla linfa delle piante, predigerita dagli afidi, è detto miele di melata: le api suggono la melata direttamente dagli insetti e la usano come fonte zuccherina alternativa al nettare. Lo spettro pollinico dei campioni di miele che emerge al microscopio rivela anche la percentuale di fioriture presente nell'area di produzione e, quindi, l'area geografica di provenienza.
autentico e sicuro. L'analisi chimica valuta l'umidità del miele (ossia la percentuale d'acqua, che dipende dalla lavorazione), la presenza di eventuali residui di ceneri o metalli pesanti; quella di sostanze insolubili come residui di cera, di api o di spore fungine; la sua conducibilità elettrica (che dipende dalla percentuale di sali minerali presenti), l'eventuale presenza di antibiotici e pesticidi che le api potrebbero inavvertitamente aver raccolto nella fase di bottinatura dei fiori o abbeverandosi in zone contaminate.
Ci sono alcune analisi particolarmente utili a verificare che non siano avvenute contraffazioni.
La diastasi è un enzima secreto dalle api che si degrada con il tempo o in seguito a trattamenti termici: l'indice diastasico indica perciò la freschezza del prodotto, e non deve superare certi valori.
C'è poi l'HMF o idrossimetilfurfurale, una sostanza praticamente assente dal miele appena estratto, che deriva dalla degradazione dello zucchero fruttosio nel tempo: anche questo è un indice dello stato di conservazione e della "anzianità" del prodotto.
Infine, l'analisi degli zuccheri evidenzia la quantità di zuccheri semplici (soprattutto fruttosio e glucosio) prodotti dalla lavorazione enzimatica del saccarosio originario nello stomaco delle api. Una quantità molto elevata di saccarosio può essere semplicemente indice di smielatura precoce (cioè dell'estrazione del miele dai melari prima che sia stato del tutto lavorato); oppure essere la spia di eventuali aggiunte di sostanze zuccherine.
In generale, data la scrupolosità di questi e altri più specifici controlli, è molto difficile che una frode grossolana passi non vista fino al prodotto finito. Eventuali incoerenze tra le analisi polliniche e chimico-fisiche possono insospettire e spingere ad ulteriori approfondimenti.
Sempre uguale. Terminate le analisi e le prove di assaggio (o panel test: in pratica, degustazioni di miele compiute da professionisti) si creano dei "capitolati aziendali", ossia parametri che il miele recapitato dai fornitori dovrà seguire per poter essere accettato e confezionato. Ogni fusto ha un documento di ingresso, e viene carotato fino al fondo: si ottiene così un campione che verrà usato come riferimento per ogni barattolo finale.
La scelta. Quando il miele approda nel circuito di vendita, l'etichetta è la sua prima interfaccia di scambio con il consumatore.
L'etichetta non ha molto da dire sugli ingredienti, perché il miele è, per definizione legale, "il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o che si trovano sulle stesse, che esse bottinano, trasformano, combinano con sostanze specifiche proprie, immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare" (direttiva CEE 22 luglio 1974).
Non ci possono essere, dunque, ingredienti aggiunti: i "mieli aromatizzati" sono invece preparati alimentari a base di miele.
L'etichettatura italiana. Piuttosto, dall'etichetta del miele si capisce facilmente dove è stato prodotto. Nell'Unione Europea vige una direttiva sui Paesi di origine: si deve indicare il nome del Paese di origine del miele solo quando proviene da un Paese soltanto. Per le miscele si è liberi di non indicare l'origine precisa, basta attenersi alla dicitura "miscele UE o Extra UE". L'Italia ha recepito e ulteriormente regolamentato la direttiva obbligando i confezionatori a indicare anche i nomi dei Paesi da cui provengono le miscele. Vale solo per i confezionatori italiani: se sull'etichetta non si leggono i nomi dei singoli Paesi di provenienza, significa che quel barattolo non è stato confezionato in Italia.
Il miele bio. Infine, dall'etichetta si può capire anche se un miele è biologico: per ottenere questa certificazione i mieli devono avere una serie di requisiti, come provenire da apiari che abbiano, nel raggio di 3 km, solo fonti di polline e nettare costituite da coltivazioni biologiche, flora spontanea o coltivazioni sottoposte a cure colturali a basso impatto ambientale; gli alveari devono essere costituiti da materiali naturali che non pongano un rischio di contaminazione per il prodotto, e la cera usata per i nuovi telaini deve essere di produzione biologica.
I trattamenti sanitari negli alveari biologici devono essere soltanto a base di prodotti naturali, come propoli, mentolo e oli vegetali, e l'alimentazione delle api deve avvenire attraverso le loro naturali scorte di miele e polline, a meno che non sia in gioco la loro sopravvivenza (in quel caso, sono consentiti miele, zuccheri e sciroppi biologici).