E se i robot non ci semplificassero il lavoro, ma ci facessero lavorare di più? È il quesito cui risponde uno studio pubblicato su Research Policy, secondo il quale automatizzando processi ripetitivi − come la gestione di grosse quantità di dati digitali − l'intelligenza artificiale aumenterebbe la quantità di mansioni che devono svolgere i dipendenti umani, come il controllo, la standardizzazione e la condivisione dei dati scientifici. Gli esperti lo chiamano "paradosso della digitalizzazione": automatizziamo dei processi per lavorare meno, e ci ritroviamo a lavorare di più.
Biologia sintetica. Gli studiosi hanno in particolare guardato al lavoro svolto dagli scienziati nell'ambito della biologia sintetica (in inglese abbreviata con il termine synbio), una branca che si occupa di dare nuove abilità agli organismi: esempi di questa disciplina sono la crescita della carne sintetica in laboratorio, la produzione di nuovi fertilizzanti e la scoperta di nuovi farmaci.
Il paradosso della digitalizzazione. Gli esperimenti condotti in questo ambito si servono di piattaforme robotiche avanzate che si occupano di muovere ripetutamente grosse quantità di campioni, e successivamente di algoritmi che analizzano automaticamente i risultati di esperimenti condotti su larga scala che, a loro volta, generano grosse quantità di dati digitali.
E qui si arriva al paradosso: nonostante gli scienziati siano sollevati dal compito di analizzare manualmente quei dati, l'automatizzazione amplifica e diversifica il tipo di lavoro dei ricercatori, che si ritrovano ad esempio a dover svolgere più esperimenti (poiché aumentano le ipotesi possibili da testare) e a dover controllare, standardizzare e condividere un volume maggiore di dati.
Addeestratori di robot. Non bisogna inoltre dimenticare che i robot devono essere addestrati, e che dunque in futuro vi sarà una grande richiesta di specialisti esperti nella preparazione, la riparazione, l'addestramento e la supervisione dei robot. «Il tempo impiegato nella pulizia, la supervisione e la soluzione dei problemi legati ai sistemi automatizzati compete con le mansioni tradizionali degli scienziati», spiega Barbara Ribeiro, coordinatrice dello studio, su The Conversation.
ChatGPT. I risultati della ricerca, sottolinea l'esperta, possono essere applicati anche ad altri settori dell'intelligenza artificiale: pensiamo ad esempio all'ormai ben noto ChatGPT, il chatbot che scrive (quasi) come un umano, i cui articoli hanno bisogno di una revisione umana prima di essere pubblicati. È successo in Kenya, dove – come racconta la rivista Time − alcuni lavoratori sono stati assunti per censurare i contenuti razzisti, sessista od offensivi prodotti da ChatGPT.
Esempi come questo saranno sempre più diffusi, ed è fondamentale che questo lavoro dietro le quinte venga riconosciuto: «Dobbiamo rivedere i modi in cui misuriamo la produttività, considerando anche le mansioni invisibili svolte dagli umani dietro a quelle più visibili che vengono generalmente premiate», conclude Ribeiro.