Economia

La scienza dei figli di papà

Uno studio italiano evidenzia come la ricchezza possa rimanere nelle mani delle stesse famiglie per secoli, in barba ai modelli socio-economici di redistribuzione.

Bella vita quella dei figli di papà, che senza troppo sforzo si trovano a godere delle ricchezze accumulate da genitori e nonni.

Guglielmo Barone e Sauro Mocetti, rispettivamente Senior Economist e DG for Economics, Statistics and Research alla Banca d’Italia, hanno studiato questo fenomeno sociale in maniera scientifica e hanno scoperto che il benessere può tramandarsi di generazione in generazione per oltre 7 secoli, molto più a lungo cioè di quanto fino a oggi ipotizzato dalle più accreditate teorie economiche.

Ricchi di famiglia. Gli studi convenzionali di solito confrontano la ricchezza dei figli con quella dei padri e ne misurano l’elasticità con un indice che va da 0 (nessuna eredità) a 1 (la ricchezza del padre passa interamente al figlio). Questo valore cambia radicalmente da un paese all’altro: in Nord Europa si aggira su 0,2 mentre negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Italia si assesta attorno allo 0,5.

Ma nel lungo periodo anche un’elevata elasticità è destinata a ridursi. Un indice di 0,5 alla prima generazione diventa 0,25 alla seconda e 0,125 alla terza. La conclusione, fino a oggi comunemente accettata nelle discipline socio-economiche, è che il benessere accumulato da un individuo è destinato a dissolversi nel giro di 3 generazioni.

Sedia rotta? Nessun problema, c'è la Ferrari. © Instagram

Piove sempre sul bagnato. Ma è proprio così? Barone e Mocetti hanno dimostrato, dati alla mano, che la realtà empirica è diversa dalla teoria. I due ricercatori si sono concentrati sull’elenco delle più ricche famiglie fiorentine scoprendo che dal 1427 ai giorni nostri non è cambiato di molto. La ricchezza si è quindi mantenuta nelle stesse casate per 700 anni.

Dallo studio emerge che i cinque fiorentini più ricchi del 1427, identificati in base ai registri delle tasse dell’epoca, erano antenati di altrettanti fiorentini che nel 2011 si sono posizionati nella classifica dei più ricchi della città. Lo stesso fenomeno è osservabile anche all’altro capo della classifica, quello cioè dei cittadini più poveri.

Questa persistenza di ricchezza e povertà nelle stesse famiglie per oltre 7 secoli è un fatto davvero notevole, soprattutto alla luce dei cambiamenti sociali e politici che in questo lungo periodo di tempo hanno più volte investito la città.


Dalla Toscana ai fiordi. Qualcuno potrebbe obiettare che il caso di Firenze è un’eccezione tutta nostrana. In realtà Gregory Clark, storico ed economista della University of California, evidenziò già nel 2008 un fenomeno simile in Svezia.

Clark non aveva accesso a dati simili a quelli di Barone e Mocetti ma riuscì comunque a scoprire, analizzando i cognomi dell’elite economica e finanziaria svedese, come questi fossero in gran parte discendenti da casate nobili del XVII secolo.

Il caso della Svezia è piuttosto singolare: da un lato il paese ha una ridistribuzione della ricchezza più efficiente di quella italiana (quindi il fenomeno dovrebbe essere meno evidente), dall’altro è stato sostanzialmente stabile dal punto di vista socio-economico per diversi secoli.


Professione: nobile rampollo. Come si spiega allora questo fenomeno? La semplice proiezione matematica della ricchezza di un individuo per "n generazioni" è fuorviante.

I figli delle classi più ricche tipicamente hanno accesso a scuole migliori, a contatti più qualificati e spesso scelgono carriere artistiche o politiche meno remunerative di quelle dei propri genitori. Oppure possono entrare in elite professionali altamente pagate. I casi insomma sono tanti e diversi.

Ciò che sembra confermato è che la redistribuzione della ricchezza nel breve periodo, più facile da studiare e modellizzare grazie all’abbondanza di dati, non si traduce automaticamente in una redistribuzione nel lungo periodo.

Lo stesso obiettivo di redistribuzione della ricchezza, così apertamente perseguito dalle politiche nord europee, potrebbe non essere la vera chiave per la lotta alle disuguaglianze sociali.

20 maggio 2016 Rebecca Mantovani
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