Fin dall’antichità, la storia umana è stata caratterizzata da picchi di grande migrazione di massa. L’invenzione dell’agricoltura, tra i 10 e gli 8mila anni fa, la scoperta dell’utilizzo del bronzo, circa 5000 anni fa, e la diffusione e uso del ferro, attorno a 3000 anni fa, coincidono con tre massicci spostamenti della popolazione e con la nascita di nuove civiltà, conseguenza anche di questi movimenti.
L’inizio del XXI secolo ha segnato l’inizio di un’altra grande ondata di migrazioni forzate con milioni di persone che si muovono ogni anno. Spesso le persone cambiano regione o città rimanendo nel proprio Paese, sfollando in campi profughi o in altre situazioni di accoglienza temporanea. Altre volte cercano rifugio nei Paesi vicini o affrontano lunghi viaggi per raggiungere posti dove ci sono migliori speranze di trovare un lavoro e una vita tranquilla. C’è chi semplicemente cerca di migliorare la propria condizione, i cosiddetti migranti economici. E c’è chi fugge da un paese in guerra, da persecuzioni politiche, religiose o da situazioni di violenza. In questo caso, i profughi possono appellarsi alla Convenzione ONU siglata a Ginevra nel 1951, cui aderiscono 144 paesi incluso il nostro, che prevede la possibilità di fare richiesta di asilo per chiunque si senta in pericolo di vita, ottenendo lo status di rifugiato.
Secondo i dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, l’UNHCR, sono circa 70 milioni le persone oggi costrette a mettersi in viaggio. Di queste, 40 milioni vivono sfollate nel proprio paese. Ci sono poi più di 27 milioni di rifugiati fuggiti all’estero e 3 milioni di richiedenti asilo.
Come vediamo dal grafico qui sopra, sono tre i paesi da cui sono fuggite più persone, negli ultimi anni. C’è la migrazione drammatica di quasi la metà della popolazione siriana, con oltre 6 milioni di sfollati e più di 5 milioni di persone fuggite all’estero. Sono più di 2 milioni e mezzo gli afghani che se ne sono andati dal proprio paese dal 2001 a oggi, e più o meno altrettanti profughi hanno lasciato il Sud Sudan. Ma sono consistenti anche i flussi continui di rifugiati somali ed eritrei, che lasciano il corno d’Africa, per l’instabilità della situazione, tra conflitti perenni, come nel caso somalo, e dittature sanguinarie, come quello eritreo. Situazioni molto complicate ci sono anche in Repubblica democratica del Congo e in Repubblica Centrafricana. In Sudamerica c’è stato un vero e proprio esodo di venezuelani verso il Perù ma anche la Spagna e gli Stati Uniti.
In Asia, è in atto una fuga di massa di oltre 700mila Rohingya rifugiati in Bangladesh perché perseguitati dal governo del loro paese, il Myanmar (dati OCHA, Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari).
La mappa interattiva sottostante indica i principali flussi, visibili cliccando sui bottoni del menù, in uscita da alcuni paesi con crisi in corso verso le destinazioni principali, con i dati forniti da UNHCR.
Al di là delle direzioni e dei numeri, un dato è chiaro e consistente. Le migrazioni forzate di massa sono un fatto che riguarda soprattutto il Sud del mondo. Sia come origine che come destinazione.
Le persone che arrivano in Europa e negli Stati Uniti sono in realtà, al di là della nostra percezione, una ridotta minoranza rispetto ai milioni di persone che si spostano nei paesi vicini. L’85% dei migranti trova rifugio in un paese del Sud limitrofo a quello di partenza.
Il paese che ha accolto più rifugiati, che contano oggi più del 16% della popolazione domestica, è il Libano. Oltre alla presenza di migranti provenienti da Etiopia, Sri Lanka, Filippine, Nepal e Bangladesh che lavorano e vivono nel paese, in Libano si trovano infatti più di 300mila palestinesi e oltre un milione di siriani.
In numeri assoluti, come vediamo dal grafico qui sopra, il paese che ha più rifugiati nei propri confini è la Turchia, con oltre 3 milioni di persone. Numeri incrementati anche dalle politiche e dagli accordi dell’Unione Europea che ha contrattato con la Turchia una serie di misure di sostegno economico in cambio del ruolo di contrasto ai flussi verso la Grecia e quindi verso gli altri paesi europei.
L’impatto di leggi e accordi internazionali
I flussi, le rotte e gli andamenti delle migrazioni dipendono molto anche dalle decisioni politiche e dalle leggi di riferimento applicate a livello internazionale e nei paesi di destinazione. La convenzione ONU del 1951 è quella che ha introdotto il concetto di diritto di asilo e ha quindi definito lo status di rifugiato.
Si tratta di una norma internazionale di altissimo livello che obbliga gli stati a dare rifugio a chi si trova in pericolo serio. Tuttavia, le norme approvate successivamente non hanno facilitato il rispetto di questo diritto.
La timeline qui sotto riassume le principali convenzioni, leggi e accordi che hanno influito in questi anni sugli andamenti delle procedure di entrata in Italia e in Europa.
Attraversare il Mediterraneo
Se concentriamo l’attenzione sulle rotte che portano i migranti dall’Asia e dall’Africa in Europa, vediamo che nel corso degli ultimi anni gli andamenti dei flussi di viaggi attraverso il Mediterraneo, soprattutto per quanto riguarda gli arrivi con i famosi barconi, dipendono molto anche dagli accordi presi con i governi di Turchia e Libia, entrambe nazioni cui è stato attribuito il ruolo del gatekeeper, e cioè del guardiano al di fuori dei territori europei.
Nel primo caso, l’accordo con la Turchia è stato siglato, in cambio di aiuti economici pari a oltre 3 miliardi di euro, dall’Unione Europea nel marzo 2016. Da quel momento la rotta attraverso la Grecia è stata sostanzialmente quasi del tutto chiusa, passando da picchi di 150-200mila sbarchi mensili nel 2015 a poco più di 20mila nel 2017.
Un andamento simile è risultato dall’accordo tra Italia e Libia, stipulato dal governo Gentiloni e in particolare dal Ministro dell’Interno Marco Minniti nei primi mesi del 2017, che ha portato a una netta diminuzione dei viaggi verso la Sicilia e il Sud Italia, andamento confermato anche dai flussi dell’estate 2018. L’altra faccia di questi accordi è la detenzione, in condizioni inumane, di centinaia di migliaia di persone nei centri libici, una situazione più volte denunciata dalle organizzazioni internazionali che lavorano in difesa dei diritti umani.
Il 4 ottobre 2018 è entrato in vigore, in Italia, il decreto legge Salvini “Sicurezza e immigrazione” che si propone di introdurre “una serie di novità in materia di immigrazione e protezione internazionale, di sicurezza pubblica e di prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità mafiosa.”
L’impatto di questo ulteriore tassello di regolamentazione italiana sarà tutto da valutare nei prossimi mesi. Rimane, in ogni caso, la necessità di lavorare di più a livello europeo e internazionale per rivedere accordi non più attuali e inadeguati, come la Convenzione di Dublino, e per trovare una risposta civile alla realtà e dimensione del fenomeno migratorio di questi anni. Un fenomeno che senz’altro non andrà riducendosi a breve, soprattutto se consideriamo l’impatto che le conseguenze dei cambiamenti climatici potranno avere in molti territori del Sud del mondo, a partire dalla riduzione delle risorse idriche e quindi delle terre coltivabili.