Il sogno degli urbanisti e dei geek di tutto il mondo è riuscire a replicare, nella propria città, il modello di sviluppo vincente della Silicon Valley. Ci hanno provato in Inghilterra, con la Thames Valley; a Dubai, con la Silicon Oasis; e in molti altri luoghi. Ma spesso, nonostante ingenti investimenti economici, le repliche non raggiungono i risultati sperati.
L'esempio della Silicon Valley è troppo nuovo, troppo attuale, troppo veloce per offrire una lezione stabile ed efficace. Chi cerca un vero modello di innovazione, deve guardare a un passato che ci riguarda da vicino: quello della Firenze del Rinascimento. È l'originale tesi sostenuta da Eric Weiner, autore di The Geography of Genius.
La città dei Medici produsse una tale esplosione di arti, idee, innovazione e movimenti culturali, da lasciare un patrimonio di lezioni e regole non scritte valido ancora oggi, a 500 anni di distanza. Ecco alcuni insegnamenti culturali ed economici di allora che possiamo fare nostri.
1. Il talento ha bisogno di mecenati. La famiglia de' Medici non aveva l'abitudine di sperperare i propri averi in modo appariscente; ma quando credeva di aver individuato in qualcuno un vero talento, vi ci investiva senza badare a spese.
Lo fece soprattutto Lorenzo de' Medici, sia per nascondere dietro a un mecenatismo illuminato una conduzione della città sempre meno democratica, sia per sfruttare il culto del bello per celebrare il potere personale e della sua famiglia.
Fu lui a scorgere, in un giovane scultore appena adolescente, il genio che avrebbe reso Michelangelo famoso per i secoli avvenire.
Il Magnifico aveva aperto una sorta di accademia di scultura nel Giardino del Casino di San Marco. Michelangelo, chiamato a intervenire in quello spazio con altre giovani promesse, si distinse subito con la scultura di una testa di fauno. Lorenzo gli spalancò le porte del suo palazzo, consentendogli di essere istruito accanto ai suoi figli e conoscere l'élite intellettuale dell'epoca, con personalità come Pico della Mirandola, Poliziano e Marsilio Ficino.
Michelangelo abitò alla corte medicea fino al 1492, l'anno della morte del Magnifico. Quello del signore di Firenze fu dunque un investimento importante, ma estremamente redditizio: finanziare gli innovatori non è un atto di carità, ma una mossa accurata che, se indirizzata nel verso giusto, non tarderà a dare buoni frutti.
2. Avere un mentore è importante. Troppo spesso i giovani manager rampanti fanno piazza pulita del passato, una volta saliti al posto di comando di un'azienda.
Ma l'esempio del Rinascimento ci dice che è un errore. Tutte le più grandi personalità dell'epoca, prima di ricoprirsi di gloria, mangiarono polvere nelle botteghe dei maestri.
Fu così per Michelangelo, che si formò per un paio d'anni come garzone nella bottega del Ghirlandaio; e per Leonardo da Vinci, che trascorse una decina d'anni, a partire dall'adolescenza, nella bottega di Andrea Verrocchio, dove passò da mansioni come fare le pulizie a compiti sempre più di responsabilità, cimentandosi con i primi esperimenti pittorici fino a superare il suo maestro.
3. In alcuni casi, il potenziale batte l'esperienza. Dell'importanza della formazione abbiamo scritto qui sopra. Ma dopo la dovuta gavetta, è anche necessario che chi ha vero talento trovi qualcuno pronto a scommettere su di lui. Oggi si dà spesso fiducia a persone che hanno ricoperto lo stesso incarico in altre realtà: e se invece la persona più adatta fosse quella che applica un approccio innovativo, e non una formula già collaudata?
Andò così con la Cappella Sistina. Quando Giulio II, nel 1508, affidò a Michelangelo i lavori per gli affreschi della Cappella Sistina, la scelta dell'artista amato da Lorenzo de' Medici non era scontata. Michelangelo era già molto famoso a Roma e a Firenze, ma sopratutto come scultore. Si era cimentato per lo più in dipinti piccoli e non padroneggiava la tecnica dell'affresco. Inoltre, i rapporti tra l'artista e il pontefice furono sempre piuttosto burrascosi. Ciò nonostante, il papa credette nelle sue potenzialità: nacque così il capolavoro che ammiriamo ancora oggi.
4. Dai disastri nascono nuove opportunità. La Firenze medicea rifiorì pochi decenni dopo essere stata duramente colpitadecimata dalla Morte Nera, la peste del Trecento. Non fu un caso: l'epidemia aveva spazzato via le rigide gerarchie sociali e promosso l'avvento di nuove idee e di una nuova classe mercantile sensibile al bello e al commercio dei beni di lusso.
Allo stesso modo, dopo una crisi economica si assiste spesso alla fioritura di nuove idee e dinamiche di sviluppo e condivisione (pensiamo alla sharing economy sviluppatasi negli ultimi anni). La chiave di svolta è chiedersi: che cosa può nascere, di buono, da questo disastro? E soprattutto imparare a reinventarsi, senza provare a ricostruire il vecchio modello ormai superato.
5. Ben venga la competizione. Leonardo e Michelangelo non si potevano sopportare: si narra che, quando si incrociarono sul Ponte Vecchio a Firenze nel 1504 (mentre Leonardo lavorava alla Battaglia di Anghiari per Palazzo Vecchio, e Michelangelo ai disegni preparatori per la Battaglia di Cascina), il più giovane Michelangelo si rivolse al collega con fare sprezzante, e che quello in risposta, piegò una moneta tra due dita.
Anche Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi erano rivali: quando il secondo si vide rifiutare la commissione della Porta del Paradiso del Battistero di Firenze in favore del collega, si recò a studiare a Roma sulle sculture classiche, e quando tornò a Firenze, impiegò le conoscenze acquisite per realizzare la Cupola del Duomo. Una sana competizione può favorire sia chi vince, sia chi perde, e i fiorentini lo sapevano bene.
6. Se le idee non arrivano, vanno cercate. L'ispirazione non è un dono per chi sta fermo ad aspettare. Anche se la Firenze dei Medici non era quella che si definirebbe una democrazia, cambiare ciclicamente le cariche delle maestranze che presiedevano alle più importanti opere artistiche - come il Duomo - era un'usanza diffusa: più che la continuità, si cercavano punti di rottura, boccate d'aria fresca, idee nuove e non scontate.
Gli intellettuali umanisti non erano eruditi specializzati nel "già noto", ma maestri della ricerca, che andavano a recuperare nei testi antichi dimenticati, soprattutto quelli greci, scritti e teorie andate perdute all'epoca medievale. L'innovazione poteva derivare solo dalla sintesi perfetta tra nuovo e antico, tra creatività e cultura: una regola che non smette di dimostrarsi valida.