Dallo scorso 12 giugno la Borsa di Shanghai sta andando incontro a un crollo apparentemente inarrestabilie che l’ha portata a perdere oltre il 35% del suo valore in meno di un mese. Secondo gli analisti una crisi del genere, la peggiore della storia dopo quella dei mutui subprime del 2008, è a tutti gli effetti paragonabile a quella che colpì gli Stati Uniti nel 1929.
Ma la borsa cinese non era in una fase di crescita a tre cifre?
Sì, nell’ultimo anno il mercato finanziario cinese è cresciuto del 150%. Dopo aver raggiunto questo picco, lo scorso 12 agosto ha inziato a scendere lasciando sul campo, in media, più del 5% del suo valore ogni giorno. Gli investitori, spaventati dalla repentina inversione di tendenza, si sono fatti prendere dal panico e hanno inziato a vendere, o meglio a svendere, i propri portafogli a prezzi sempre più bassi, innescando così un circolo vizioso da quale sembra impossibile uscire.
Che cosa ha innescato la fase crescente della bolla economica cinese?
A partire dallo scorso anno la Cina ha inziato a vivere una fase di profonda crisi del mercato immobiliare. La vertiginosa discesa dei prezzi, insieme alla stringente politica anti corruzione voluta dal governo che ha impedito la fuoriuscita dal paese di ingenti capitali non proprio pulitissimi, ha fatto sì che una consistente liqudità rimanesse dentro ai confini nazionali e si riversasse in Borsa.
I prezzi di azioni, obbligazioni e derivati vari hanno iniziato a salire, stimolando gli investimenti anche da parte dei privati. Milioni di lavoratori, studenti e pensionati hanno investito nel mercato finanziario i risparmi di una vita, la pensione, le borse di studio, contribuendo così a far gonfiare la bolla.
Quali altri fattori hanno contribuito a drogare la crescita dell’economia?
I tassi di rendimento offerti dal mercato erano così alti e allettanti che tantissime persone, aziende, istituzioni non hanno esitato a prendere denaro in prestito dalle banche per investirlo in Borsa, sedotti dall’idea di facili guadagni. Molti sono diventati milionari in pochi giorni, per ritrovarsi una settimana dopo immersi fino al collo nei debiti perché avevano perso tutto.
Che cosa è successo il 12 giugno?
Gli avvisi degli analisti, sia cinesi sia internazionali, che già da mesi mettevano in guardia contro questa crescita incontrollata, sono stati ignorati, e il 12 giugno scorso qualcuno ha iniziato a vendere innescando la corsa verso il basso dei listini. Oggi chi si è indebitato con le banche ha paura di non poter più rimborsare il dovuto e ha fretta di vendere pur di sbarazzarsi di attività finanziarie che valgono sempre di meno.
Il crollo della Borsa di Shanghai ha contagiato anche tutte le altre borse asiatiche, da Hong-Kong a Tokyo, i cui listini stanno tremando ormai da settimane. A far da specchietti per le allodole sono stati i titoli tecnologici, che hanno creato un’euforia paragonabile a quella americana del 2008.
Che cosa stanno facendo le autorità cinesi? Per tentare di arrestare questa emorragia il governo cinese ha abbassato i tassi di interesse e chiesto alle aziende statali di non vendere nemmeno un’azione nel tentativo, disperato, di ridare un po’ di fiducia ai mercati. Ha inoltre obbligato le banche aestendere i prestiti nel tentativo di riversare nel sistema economico nuova liquidità. Per ridurre le perdite ha inoltre sospeso dal lisitino oltre 1400 aziende quotate, circa la metà del totale, per eccesso di ribasso.
A quanto ammonta la cifra andata persa nella bolla cinese?
La crisi della borsa cinese ha mandato in fumo 2600 miliardi di euro in 3 settimane. Per avere un termine di paragone basti pensare che la Grecia ha bruciato circa 500 miliardi di debito pubblico e che il PIL italiano è di circa 1500 miliardi di euro.
Quali saranno le conseguenze di questo dissesto?
Questa nuova crisi rischia di danneggiare soprattutto i piccoli investitori privati, che hanno affidato alla borsa tutti i loro risparmi o quasi e che, probabilmente, si vedranno aumentare le tasse dal Governo nel tentativo di riparare, almeno in parte, i danni.
I grandi investitori istituzionali se la caveranno con perdite minori perchè ormai da tempo hanno dirottato una parte consistente dei loro guadagni in investimenti esteri, soprattutto di natura immobiliare. Più in generale questa crisi danneggerà tutti i paesi esportatori, che ormai da anni avevano trovato nella Cina un mercato in crescita dove vendere i propri prodotti al nuovo ceto medio, sempre più ricco e numericamente in aumento. Lo scoppio della bolla ha ridimensionato, e in alcuni casi azzerato, il loro potere d'acquisto e ci vorranno anni prima che possano risollevarsi.