Le conseguenze dell'invasione russa dell'Ucraina sono molteplici: umanitarie e sanitarie per i protagonisti del conflitto, ma anche alimentari ed economiche per il resto del mondo, che si trova a dover fare i conti con le sanzioni alla Russia e gli stop alle esportazioni da parte di altri Paesi. Ad aggiungersi alla lunga lista di chi ha deciso di bloccare le esportazioni dei propri prodotti ora arriva anche l'Indonesia: per decisione del presidente Joko Widodo dal 28 aprile sono vietate le esportazioni di olio di palma, l'olio vegetale più usato al mondo. Perché questa decisione e quali saranno le conseguenze per gli altri Paesi?
Prima gli indonesiani. Il motivo della scelta di Widodo è semplice: garantire le forniture di olio di palma ai propri cittadini. «Sappiamo che nel medio e lungo termine questo embargo non è un bene», spiega Mulyani Indrawati, ministra delle finanze indonesiana: «tuttavia nel breve termine non possiamo permetterci di esportare i prodotti di cui il nostro popolo ha bisogno.»
Reazione a catena. L'aumento della domanda di olio di palma è dovuto a una reazione a catena scatenata dal conflitto in Ucraina e dal conseguente blocco delle esportazioni di olio di girasole, di cui il Paese di Zelensky è il primo esportatore al mondo: per compensare questa mancanza, che a marzo 2022 ha fatto schizzare i prezzi dell'olio di girasole del +73% rispetto a settembre 2021, i produttori si sono rivolti verso altri oli vegetali - tra cui quello di palma - i cui prezzi sono a loro volta saliti. Widodo ha quindi deciso di garantire le forniture domestiche (gli indonesiani utilizzano l'olio di palma per cucinare) per cercare di stabilizzare il prezzo, e ha dichiarato che non scioglierà l'embargo fino a che le forniture non saranno "abbondanti ed economiche".
I prezzi salgono. Noi non utilizziamo olio di palma per cucinare, ma lo troviamo in moltissimi prodotti confezionati: biscotti, patatine, cibo per cani, ma anche cosmetici e shampo per i capelli. Per l'Occidente, dunque, questo ennesimo embargo alimentare (che si aggiunge agli oltre 35 attivi da fine marzo) porterà a un ulteriore aumento dei prezzi di alcuni prodotti. Ma ormai ci siamo abituati: secondo la Banca Mondiale a marzo 2022 i prezzi globali del cibo hanno segnato un +37% sullo scorso anno - una pessima notizia soprattutto per i più poveri del mondo.