La legge prevede che sui prodotti ittici confezionati e sfusi debbano comparire tre indicazioni, spiega a Focus.it l'alimentarista Emanuela Bianchi, di Altroconsumo.
Queste regole valgono per pesci, molluschi e crostacei freschi o congelati, interi o lavorati (trasformati in trance e filetti), ma non per piatti pronti e prodotti inscatolati - per esempio il tonno in scatola.

«Su questo tema l'ultima inchiesta di Altroconsumo è del 2011 e aveva mostrato che le etichette sono spesso incomplete nei mercati rionali e dai pescivendoli, più di rado nei supermercati», afferma Bianchi. Nella maggior parte dei casi le omissioni riguardavano il luogo di provenienza e la specifica allevato/pescato.
NOMI INCOMPLETI. Inoltre non sempre il venditore riporta il nome completo della specie venduta, ricavabile dall'elenco stabilito da un decreto legge ad hoc. «Per esempio, la dicitura "tonno"», prosegue, «può riferirsi solo al tipo rosso, altrimenti si dovrebbe specificare pinna gialla, atlantico eccetera. Se un polpo viene dal Messico deve essere aggiunto al nome "messicano": polpo da solo non basta.» Emblematico il caso del persico del Nilo (Lates niloticus), qualche anno fa venduto tout-court come persico.


SOSTITUZIONI. Le frodi rilevate più frequenti? Smeriglio venduto per palombo, pangasio per cernia, eglefino per merluzzo. «Ma non sempre il venditore è responsabile, la frode potrebbe essere dovuta al fornitore», precisa Emanuela Bianchi. In questi casi il consumatore raramente ha modo di difendersi: è difficile risalire la filiera, ma anche riconoscere un filetto da una trancia e persino un pesce decongelato da uno fresco. Non resta che la fiducia nei confronti del venditore.
Per il pesce servito nei ristoranti non vale l'obbligo di indicare la provenienza.
Per venire incontro ai consumatori che attraverso le associazioni chiedono informazioni più dettagliate, l'Unione Europea dispone nuove regole in vigore dal 13 dicembre 2014. In etichetta dovranno comparire:
Rimane immutata l'attuale dicitura del metodo di produzione (pescato in mare, in acque dolci o allevato).

Attualmente le etichette prevedono l'indicazione del Paese membro o del Paese terzo di origine per i prodotti pescati in acque dolci e per quelli di allevamento. Per il pescato, invece, l'indicazione è in codice, con la facoltà di indicare la zona di cattura con più precisione (per esempio: Mar Tirreno, Zona FAO n.
37). Ecco le corrispondenze (in grassetto la parte obbligatoria):
Zona FAO n. 21, oceano Atlantico nord-occidentale
Zona FAO n. 27; 27.III.d, oceano Atlantico nord-orientale e mar Baltico
Zona FAO n. 31, oceano Atlantico centro-occidentale
Zona FAO n. 34, oceano Atlantico centro-orientale
Zona FAO n. 41, oceano Atlantico sud-occidentale
Zona FAO n. 47, oceano Atlantico sud-orientale
Zona FAO n. 37.1; 37.2; 37.3; 37.4, mar Mediterraneo e mar Nero
Zona FAO n. 51; 57, oceano Indiano
Zona FAO n. 61; 67; 71; 77; 81; 87, oceano Pacifico
Zona FAO n. 48; 58; 88, oceano Antartico
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