Spesso si pensa che la pensione sia un tema distante, legato ad un futuro ancora lontano e senza certezze. Invece è importante pensare e pianificare fin da subito la propria previdenza: secondo le recenti statistichesulle aspettative di vita, infatti, saranno molti gli anni da tra-scorrere in quella fase di vita. In Italia il sistema pensionistico pubblico (detto anche obbli-gatorio o previdenza di primo pilastro) consiste nell'insieme di circa cinquanta enti previdenziali (vedi box sotto) che gestisco-no le assicurazioni sociali obbligatorie regolate dalla legge per tutelare i cittadini nelle situazioni di bisogno (non solo pensione ma anche disoccupazione, malattia, maternità etc).
Il principale e più grande degli enti previdenziali è l'Inps (Istituto Nazionale Previdenza Sociale) che assicura la maggior parte dei lavoratori dipendenti del settore privato, alcuni del settore pubblico e la maggior parte dei lavoratori autonomi. Alcune specifiche categorie di lavoratori, in particolare modo i liberi professionisti, hanno invece come riferimento le Casse di Previdenza. Come per l'Inps, anche questi enti riscuotono i contributi degli iscritti e gestiscono le corrispondenti prestazioni previdenziali e assistenziali.
PATTO TRA GENERAZIONI
Tutte le forme pensionistiche pubbliche, sia INPS sia Casse, funzionano a ripartizione ovvero i contributi dei lavoratori non vengono realmente accantonati (e quindi realmente investiti per la pensione di chi contribuisce) ma sono immediatamente utilizzati per pagare le prestazioni pensionistiche degli aventi diritto. Questo "patto intergenerazionale" - noi stiamo pagando le pensioni dei nostri genitori e nonni mentre le nostre ci saranno pagate dai nostri figli e nipoti - funziona fino a quando l'invecchiamento progressivo della popolazione (e quindi il maggior periodo in cui viene ricevuta la pensione) viene coperto da "vite lavorative" lunghe e senza pause e, soprattutto, continua a rimane un equilibrio fra numero di lavoratori e quello dei pensionati. Una situazione che - in Italia - non si sta verificando, vista anche la natalità in forte declino. In questi anni si sta anche assistendo alla reale entrata in vigore della Riforma Dini del 1995 che ha previsto un graduale passaggio dal calcolo della pensione con il sistema retributivo (ovvero basato sugli ultimi stipendi ottenuti in età lavorativa) a quello contributivo (ovvero con la pensione calcolata sul reale numero di contributi effettivamente versati). Questo passaggio porterà nei prossimi anni ad un tasso di sostituzione (ovvero il rapporto fra ultimo stipendio e ammontare della prima pensione) ad attestarsi attorno al 60% per i lavoratori dipendenti e al 48% per i lavoratori autonomi. Per fare un esempio, se il nostro ultimo stipendio ammonta a mille euro, la nostra pensione sarà di 600 euro (se dipendenti) o di 480 se autonomi. Questo sempre che si sia continuato a contribuire lungo la nostra intera vita lavorativa: ci fossero "buchi contributivi" ovvero periodi in cui non si è lavorato, e quindi versato, o si sia entrati tardi nel mondo del lavoro (si pensi alle difficoltà che incontrano i giovani oggi), queste cifre sono da rivedere al ribasso.
RISPARMIARE PER IL FUTURO
Questa consapevolezza, unita all'incertezza economica e alla pandemia globale, ha portato gli italiani a riflettere ulteriormente sui propri accantonamenti in vista della pensione. Secondo il "Global investor study 2022", una ricerca che ha coinvolto oltre 23.000 persone in 32 paesi, per il 60% degli investitori italiani i contributi previsti dagli schemi statali non saranno sufficienti per il sostentamento in pensione. Per cercare di tamponare questa situazione i cittadini italiani hanno già attuato dei comportamenti concreti: il 26% di loro, infatti, utilizza il reddito a disposizione per accrescere i propri risparmi ai fini della pensione destinandovi il 13% del reddito disponibile. Una percentuale ancora molto bassa viste le molte variabili che possono impattare sulla nostra vita nell'età pensionistica: dallo stato di salute all'allungamento dell'aspettativa di vita da un lato, dalla nostra capacità di accantonamento previdenziale alla capacità dello Stato di sostenere economicamente la spesa pubblica pensionistica. Mai come per questo tema una corretta e soprattutto tempestiva pianificazione è necessaria. La regola chiave è "non procrastinare": meglio affrontare subito la questione invece di rimanere fermi in balia degli eventi rischiando di trovarsi davanti a un problema più grosso di noi da dover risolvere.
I FONDI PENSIONE
pensione integrativa è una forma di risparmio previdenziale che si aggiunge a quella pubblica obbligatoria (definito il primo pilastro) e costituisce il cosiddetto secondo pilastro (quando si parla di fondi pensioni per chi ha sottoscritto un determinato Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro) e il terzo pilastro (aperto a tutti) del sistema pensionistico italiano. Questa previdenza complementare garantisce risorse integrative per migliorare il tenore di vita una volta in pensione. Inoltre, lo strumento può aiutare ad affrontare emergenze durante la fase di contribuzione, potendo il fruitore richiedere anticipazioni e riscatti parziali o totali. Secondo e terzo pilastro sono entrambi sistemi a capitalizzazione vera che daranno al pensionato esattamente in misura di quanto accantonato e annualmente rivalutato. Nelle casse del fondo pensione i denari esistono veramente e vengono investiti sui mercati finanziari secondo i criteri di convenienza finanziaria e diversificazione. Nel secondo pilastro poi, in base al contratto nazionale sottoscritto, il lavoratore ha la possibilità di aderire ai fondi pensione negoziali con una contribuzione "tripla": al contributo del lavoratore viene infatti aggiunto un (solitamente analogo) contributo del datore di lavoro oltre al versamento del TFR. In tal modo si aumentano considerevolmente le somme che andranno a generare extravalore grazie ai ritorni dei mercati finanziari nel lungo periodo.
Tutti i lavoratori, anche quelli che hanno sottoscritto un contratto che prevede la possibilità di aderire a un fondo negoziale, sono liberi di aderire anche alle forme cosiddette di "terzo pilastro" ovvero i Fondi Pensione Aperti e i PIP (vedi box).
Sono gestiti da banche o da intermediari finanziari detti SGR (Società di Gestione del Risparmio) o SIM (Società Investimento Mobiliare). Si alimentano esclusivamente con i contributi versati dal lavoratore che vi aderisce, il quale può decidere se e come variare la quota dei versamenti periodici scegliere la linea di investimento che si accorda meglio alle sue necessità di risparmio.
Sono gestiti dalle compagnie assicurative e raccolgono adesioni solo su base individuale: rappresentano i contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale. Le regole che li disciplinano non dipendono solo dalla polizza assicurativa, ma anche da un regolamento basato sulle direttive della COVIP.
Quali piani previdenziali scegliere? Bisogna tenere in considerazione diversi fattori ma il consiglio è quello di investire in soluzioni con elevato contenuto azionario se siamo agli inizi della nostra vita lavorativa (e quindi è tanto il tempo alla pensione) e di modificarle su soluzioni più obbligazionarie o a capitale protetto mano a mano che ci si avvicina all'età pensionabile.
La previdenza complementare ha anche un altro vantaggio: una tassazione molto agevolata rispetto ad ogni altra forma di risparmio o investimento. In fase di accumulo, ad esempio, le somme versate sono deducibili dall'imponibile IRPEF fino a 5.164 euro
Se si dispone di un reddito di 25.000 euro e si versano 5000 euro all'anno nel fondo pensione, l'imponibile IRPEF sarà 20.000 euro invece che 25.000 euro.
Quindi sull'aliquota più alta il contribuente avrà risparmiato il 27%, ovvero su 5.000 euro versati lo Stato restituisce, come sconto sulle tasse, 1350 euro.
LE ALTRE TUTELE
La previdenza complementare prevede infine la possibilità di richiedere anticipazioni anche nel corso della vita lavorativa: per l'acquisto o la ristrutturazione della prima casa (per se o per i figli) o per coprire spese mediche importanti si può richiedere fino al 75% del montante ma è anche prevista la possibilità di richiedere fino al 30% "per qualsiasi ulteriore esigenza". Una volta maturati i requisiti per andare in pensione, l'aderente alla previdenza complementare può richiedere il riconoscimento fino al 50% del montante (cioè i soldi versati e gli interessi) in forma di capitale, mentre il resto è trasformato in rendita. Quanto versato ed accumulato presso il fondo pen-sione è poi ulteriormente tutelato: le risorse depositate sono impignorabili, insequestrabili e non possono essere toccate anche in caso di fallimento. Un'altra tutela è la reversibilità: in caso di morte antecedente la pensione, quanto messo da parte sino a quel momento spet-ta ai suoi eredi, senza alcuna imposta di successione.
Ci sono almeno quattro buoni motivi per sottoscrivere una forma di previdenza complementare per figli e nipoti.
- SIAMO NEL PAESE DEL "DIRITTO ACQUISITO MAI PIÙ PERDUTO".
Per cui sottoscrivere un fondo pensione per un minore può risultare un grande vantaggio per lui in futuro. - SI BENEFICIA A LUNGO DELL'INTERESSE COMPOSTO.
Il miglior regalo per la nascita di un figlio o di un nipote? Fare un versamento in un fondo pensione. Questo perché quella cifra rimarrà investita sui mercati per circa settant'anni e, grazie all'interesse composto il valore aggiunto che porterà sarà decisamente rilevante. - LA MINORE FISCALITÀ DELLA RENDITA.
Dopo i 15 anni di adesione (calcolata da quando si sottoscrive il fondo) si ha diritto ad un ulteriore sconto sulla tassazione della rendita, già comunque agevolata al 15% invece delle normali aliquote IRPEF (che vanno dal 23% al 43%). - LA DEDUCIBILITÀ A FAVORE DEL GENITORE.
Le somme versate in favore del figlio a carico (sempre nel limite dei 5.164,57 euro), se da lui non dedotte nell'ambito dei suoi redditi personali, sono deducibili per il genitore.
Considerando l'attuale aspettativa di vita, che nel 2050 sfiorerà i 90 anni per le donne e gli 85 per gli uomini, per avere una rendita garantita di mille euro al mese a partire dall'età di 67 anni, quanto occorrerà versare? Facciamo un paio di ipotesi.
- Se si hanno già 60 anni (e quindi si può contribuire solo per 7 anni a fronte di una prestazione attesa di oltre 20) occorrerà versare una cifra sicuramente superiore ai 3.000 euro al mese.
- Iniziando 10 anni prima, a 50 anni, per raggiungere lo stesso risultato sarebbe necessario versare da 1.347 euro a 1.200, in base al livello di rischio degli investimenti.
- Iniziando a contribuire alla previdenza a 40 anni, il versamento mensile si abbasserebbe ulteriormente a 818€ su soluzioni con basso livello di rischio e a 682 con soluzioni più rischiose.
- L'ideale? Iniziare a contribuire a 30 anni quando potrebbero bastare versamenti mensili attorno ai 440 euro (se linea conservativa) o ai 297 euro (linee di investimento più azionarie).
IN SINTESI? PRIMA SI COMINCIA, MEGLIO È. E SE L'ORIZZONTE DELL'INVESTIMENTO È LUNGO, MEGLIO PUNTARE SU UNA LINEA CON PROFILO DI RISCHIO MEDIO-ALTO
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A cura di di Jonathan Figoli CEO ProfessioneFinanza® e responsabile Family Economy School