Clamoroso autogol del motore di ricerca più consultato del web. Prima stabilisce delle norme per l’indicizzazione dei contenuti Web e poi è il primo a non rispettarli. Chi parla del browser Chrome è premiato nelle classifiche anche se sono pagine pagate da Google. E scoppia un gran polverone!
“Google agevolava in modo scorretto Chrome nei risultati di ricerca”
SEO prima di tutto - La vita sul web è una guerra all’ultimo sangue dove tutti cercano di sopravvivere guadagnandosi un posto al sole in punta ai risultati di ricerca di Google e compagni. Qualcuno usa dei colpi bassi, altri puntano sulla qualità, altri ancora si affidano alla provvidenza. Si chiama SEO (Search Engine Optimization), ossia ottimizzazione per i motori di ricerca, ed è un’arte che si impara sbattendoci il naso contro ogni giorno e cercando di entrare nella testa degli algoritmi che fanno la vita e la morte dei siti web. Una premessa d’obbligo per i non addetti ai lavori.
Panda enigmatico - Google è nell’occhio del ciclone per aver infranto le regole alla base dell’indicizzazione del suo motore di ricerca. Panda, il suo ultimo algoritmo che, tra l’altro, non si è ancora ben stabilizzato, punta a premiare i contenuti originali, ovunque arrivino - siti o semplici blog - e a penalizzare i mercenari, ossia chi usa stratagemmi poco corretti per scalare le classifiche, abusa del copia e incolla e chi calca troppo la mano con l’aggregazione di contenuti. Altra premessa d’obbligo per chi non combatte quotidianamente con Panda e associati.
Non mi seguire… - E finalmente arrivo al dunque. Google fornisce delle regole da seguire che bisogna rispettare pena la radiazione dal suo search engine. Una di queste è l’obbligo di contrassegnare i link sponsorizzati - ossia quelli che paghi per posizionare la tua pagina bene in evidenza - con il tag nofollow. SEO Book, seguito da altri siti che si occupano di ranking, ha scoperto che Google avrebbe pagato alcuni blogger per sponsorizzare il suo browser Chrome, ossia per farlo comparire nelle prime posizioni nelle ricerche, ma senza specificare che si trattava di contenuti prezzolati. Insomma, senza aggiungere quel benedetto tag che fa la differenza tra risultati genuini e forzati.
Chi sbaglia, paga - Google sostiene di non aver architettato questa campagna scorretta per il suo browser, e punta il dito contro la società Unruly che avrebbe gestito la pubblicità per Chrome. Unruly, a sua volta, accusa i blogger di aver agito di propria iniziativa.
Insomma, uno scarica barile reciproco. Mountain View, però, e va detto, ne esce a testa alta perché, a prescindere di chi sia la colpa, si assume le sue responsabilità e si autopunisce penalizzando la pagina ufficiale di Chrome nel suo motore di ricerca per una durata di 60 giorni.
Silvia Ponzio
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