La COP21 si è chiusa con un documento che prende atto dei rischi del cambiamento climatico e di ciò che occorre fare per mitigarlo e per affrontarne le conseguenze. Indica una strada (ridurre le emissioni) e prevede finanziamenti e sostegno tecnologico per i Paesi in via di sviluppo e per le economie più deboli: qui di seguito i commenti a caldo di scienziati di livello internazionale, che riconoscono l'importanza del lavoro fatto a Parigi ma lamentano anche la mancanza di un sistema di regole stringenti.
Corinne Le Quéré, University of East Anglia, Tyndall Centre for Climate Change Research - «Il testo finale dell'accordo riconosce gli imperativi della comunità scientifica per affrontare il cambiamento climatico. I tre elementi chiave per farlo ci sono, in qualche forma: mantenere il riscaldamento ben al di sotto di due gradi, praticamente abbandonando i combustibili fossili, e rivedere l'impegno di ogni paese, ogni cinque anni, in modo da essere all'altezza della sfida. I tagli alle emissioni promessi dai paesi ora sono ancora del tutto insufficienti, ma l'accordo nel suo complesso invia un messaggio forte a imprese, investitori e cittadini: la nuova energia è pulita e i combustibili fossili appartengono al passato. Abbiamo davanti un sacco di lavoro perché accada.»
John Schellnhuber, Potsdam Institute for Climate Impact Research, sull'obiettivo a lungo termine dell'accordo di Parigi - «Se condiviso e attuato, significa azzerare le emissioni di gas serra nel giro di pochi decenni. È in linea con le prove scientifiche che abbiamo presentato di quello che dovremmo fare per limitare rischi quali i fenomeni meteo estremi e l'innalzamento del livello del mare. Per stabilizzare il clima del pianeta le emissioni di CO2 devono essere abbattute prima del 2030 e dovrebbero essere azzerate il più presto possibile dopo il 2050. Tecnologie quali la bioenergia e la cattura e lo stoccaggio del carbonio, così come il rimboschimento, sono importanti per compensare le emissioni - ma è fondamentale tagliare la CO2.»
Myles Allen, University of Oxford - «Raggiungere gli obiettivi nella seconda metà del secolo significa, di fatto, portare a zero le emissioni nette di anidride carbonica. Sembra che i governi lo abbiano capito, anche se non lo hanno affermato in modo forte. Per avere buone possibilità di rimanere al di sotto dei 2 gradi dobbiamo puntare a 1,5 gradi, ed è sensato riconoscere che l'obiettivo dei 2 gradi è a malapena "sicuro". Tutto sommato, un buon risultato.»
Johan Rockström, Stockholm Resilience Centre - «Questo accordo è un punto di svolta per una trasformazione del mondo all'interno di un intervallo operativo sicuro di 1,5-2 °C.
Parigi è un punto di partenza. Ora abbiamo bisogno di un'azione politica coerente con la scienza per mettere in atto uno sviluppo sostenibile e realizzare la decarbonizzazione entro il 2050.»
Diana Liverman, Institute of the Environment (University of Arizona) - «L'accordo di Parigi è un passo in avanti significativo per la riduzione dei rischi associati al cambiamento climatico antropogenico, ma di certo non per eliminarli. Abbiamo davanti ancora conseguenze molto serie a cui dovremo fare fronte. Gli attuali impegni nazionali, gli INDC, per la riduzione delle emissioni ci portano sopra i 2 gradi. L'accordo sottintende che questi impegni non possono essere rivisti fino al 2018, e nel frattempo avremo bruciato ancora più combustibili fossili e incrementato il riscaldamento del pianeta.
«Questo rende i finanziamenti per l'adattamento e per fare fronte ai danni da cambiamento climatico ancora più urgenti. È tutto menzionato nell'accordo, ma non c'è alcuna indicazione di come la maggior parte dei 100 miliardi di dollari l'anno promessi ai Paesi in via di sviluppo verrà spesa e allocata, in particolare ai Paesi più vulnerabili, per fare fronte alle conseguenze del cambiamento climatico. Tutto ciò significa che saranno importanti soprattutto gli sforzi delle aziende e dei singoli cittadini per ridurre le emissioni, al di là di impegni nazionali.
«All'IPCC è richiesta, per il 2018, una relazione speciale sull'impatto di 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali e sull'andamento delle emissioni a livello globale. La comunità scientifica deve mettersi al lavoro fin da subito: c'è ancora molto da capire sull'impatto di 1,5 gradi sul mondo e in particolare sugli schemi delle precipitazioni e delle ricadute del cambiamento climatico su settori chiave dell'economia e sulle regioni più vulnerabili. E dobbiamo iniziare a studiare come il pianeta può sopravvivere a picchi di temperature e poi recuperare.
«L'accordo di Parigi sottolinea gli obblighi per i governi a rispettare, promuovere e garantire, i diritti umani, il diritto alla salute, i diritti dei popoli indigeni, le comunità locali, i migranti, i bambini, i disabili e le persone più vulnerabili, il diritto allo sviluppo e la parità di genere, l'equità tra generazioni. Questo riconoscimento dei diritti e dei gruppi è una modesta vittoria per i molti che sono interessati alla giustizia climatica, ma ora dovrà essere tradotto in azioni in modo che le politiche di mitigazione e adattamento, le perdite e i danni, la finanza e il trasferimento tecnologico influenzino e, si spera, vadano a beneficio dei diritti umani.»
Joeri Rogelj, IIASA - «Il nuovo testo dell'articolo 4 è più chiaro del precedente in termini scientifici.
È importante sottolineare che i parametri di riferimento in termini di picchi e riduzione delle emissioni globali sono in linea con gli obiettivi di 1,5 e 2 °C. Molto resta ancora da fare ma è incoraggiante vedere l'accordo avviare un processo che potrebbe portare agli obiettivi sperati.
«Ogni azione per il clima è stata enormemente ritardata negli ultimi decenni e, ancora oggi, le emissioni continuano ad aumentare. Limitare il riscaldamento a 1,5 °C è una aspirazione che non raggiungeremo se non saremo in grado di pianificare gli interventi per il prossimo decennio.
«Le tecnologie in grado di assorbire l'anidride carbonica dall'atmosfera diventeranno indispensabili per il raggiungimento di questo obiettivo. Le tecnologie per raggiungere "emissioni zero", necessarie per limitare il riscaldamento a 1,5 °C entro la fine del secolo, sono invece incerte. Ha quindi senso incoraggiare sviluppi che abbiano ricadute positive sul clima.
«Con l'obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5 °C dobbiamo programmare per il breve termine. Se una tecnologia non si dimostra efficace nel lungo termine, l'unica soluzione per rimanere sotto i due gradi sarà quella del taglio immediato delle emissioni.»
Steffen Kallbekken, CICERO - «Il più grande successo della conferenza di Parigi è che più di 180 paesi hanno presentato i loro obiettivi di politica nazionale per il clima. È comunque un accordo storico, perché per la prima volta invia un segnale chiaro ai responsabili politici, alle imprese e agli investitori chiedendo loro di avviare la transizione verso una società con basse emissioni di carbonio.
«Tuttavia, le stime suggeriscono che gli impegni attuali si tradurranno in un aumento della temperatura tra 2,7 e 3,7 gradi. Per limitare i cambiamenti climatici servono sforzi maggiori. Tutti i Paesi presenteranno un aggiornamento sulle loro politiche climatiche ogni cinque anni: è importante sottolineare che ogni volta che presenteranno un nuovo obiettivo, questo dovrà essere più ambizioso del precedente.
«L'accordo di Parigi si propone di limitare l'aumento di temperatura a 2 °C al di sopra dei livelli preindustriali e di "proseguire nello sforzo per limitare l'aumento a 1,5 °C". Questo riflette la crescente preoccupazione per l'impatto dei cambiamenti climatici anche a livelli di riscaldamento sotto i 2 gradi. L'obiettivo ambizioso è la temperatura, tuttavia, non è accompagnato da un altrettanto ambizioso obiettivo di mitigazione.
«L'accordo prevede che i Paesi dovrebbero mirare ad abbattere i picchi di emissioni al più presto, e da quel momento in poi ridurle e, nella seconda metà del secolo, equilibrare emissioni e sistemi di assorbimento.
«Questo non manda un segnale chiaro su livelli e tempistica della riduzione delle emissioni, e non fornisce un criterio utile per misurare i progressi compiuti.
Anche se non è in contrasto con la scienza, non rispecchia la migliore scienza disponibile. L'IPCC ha concluso che, per avere una possibilità di limitare il riscaldamento a 2 gradi, le emissioni dovrebbero essere tagliate dal 40 al 70 per cento rispetto al 2010 entro il 2050. Per raggiungere l'obiettivo di 1,5 gradi i tagli dovrebbero essere più significativi, nell'ordine di 70-95% entro il 2050.»