Negli ultimi cinque anni, le maggiori compagnie petrolifere del mondo avrebbero investito oltre 1 miliardo di dollari in campagne di lobbying finalizzate a bloccare o rallentare l'adozione di protocolli e leggi più stringenti per mitigare i cambiamenti climatici, e in generale per screditare i temi del riscaldamento globale.
È quanto emerge dal report pubblicato da InfluenceMap, una "società per l'interesse pubblico" (Community Interest Company, CIC), non profit, che si occupa di documentare e rendere trasparenti le attività svolte da governi e multinazionali per influenzare l'opinione pubblica.
La classifica dei lobbisti, così come appare nel report, è guidata da BP, Chevron ed ExxonMobil, che dal 2015, quando sono stati sottoscritti gli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici (COP21), avrebbero speso in queste operazioni oltre 200 milioni di dollari l'anno.
InfluenceMap riporta che le big del petrolio avrebbero fatto un uso massiccio dei social network per screditare ogni iniziativa o proposta di legge finalizzata al contenimento del riscaldamento globale e dei suoi effetti.
Cattivi influencer. Lo scorso anno, durante la campagna elettorale per le elezioni di medio termine in Usa, le compagnie petrolifere avrebbero investito oltre 2 milioni di dollari su Facebook e Instagram per promuovere contenuti relativi ai benefici economici correlati all'aumento della produzione di combustibili fossili. Nello stesso periodo, BP avrebbe donato 13 milioni di dollari a una campagna, supportata anche da Chevron, che è riuscita a bloccare l'adozione di una carbon tax (chi più inquina, più paga) nello Stato di Washington: di questi 13 milioni, 1 sarebbe stato investito in post sponsorizzati sui social media.
Edward Collins, autore della ricerca, non fa mistero del suo pensiero su queste aziende e dalle pagine del Guardian sottolinea come in pubblico le compagnie petrolifere dichiarino di voler combattere il cambiamento climatico, mentre continuano a investire per promuovere la produzione e l'utilizzo dei combustibili fossili. Secondo quanto si legge nel report, le prime cinque grandi aziende estrattive nel 2019 spenderanno 115 miliardi di dollari nell'espansione del "core business" (combustibili fossili) e solo il 3% di questi fondi sarà investito in progetti per energie alternative rinnovabili.
La risposta. La Shell, dal Guardian, rigetta ogni accusa e prende le distanze dal report e dalle sue premesse, sottolineando come l'azienda sia in prima fila nel supportare gli accordi di Parigi lavorando per soddisfare il crescente bisogno di energia pulita. Sulla stessa linea Chevron, che afferma di collaborare con i governi nella messa a punto di politiche trasparenti sulla riduzione delle emissioni inquinanti.