Nuova Via della Seta è l'espressione coniata dalla stampa italiana per raccontare la Belt and Road Initiative (BRI), un ambizioso programma del governo cinese che vuole finanziare con oltre 1.000 miliardi di dollari diversi investimenti infrastrutturali in quasi ogni angolo del pianeta: Africa, Europa, India, Russia, Indonesia. L'iniziativa, fortemente voluta da Xi Jinping, Presidente della Repubblica Popolare Cinese, è stata lanciata nel 2013.
Dal punto di vista concreto la Belt and Road Initiative è un insieme di progetti pagati dal governo di Pechino e finalizzati alla realizzazione o al potenziamento di infrastrutture commerciali - strade, porti, ponti, ferrovie, aeroporti - e impianti per la produzione e la distribuzione di energia e per sistemi di comunicazione. Il tutto per facilitare e dare ulteriore impulso a scambi e rapporti commerciali tra le imprese cinesi e il resto del mondo: una sorta di piano globale (nel vero senso della parola) di commerci che - secondo la Banca Mondiale (WB, World Bank) - potrebbe arrivare a veicolare un terzo di tutto il commercio mondiale e coinvolgere il 60% della popolazione del pianeta.
Un piano che, senza clamore, è comunque in atto da tempo, come rileva un report del Center for Strategic and International Studies (CSIS) pubblicato a febbraio, secondo il quale alla fine del 2018 il governo cinese aveva già finanziato 173 grandi opere collegate alla BRI in 45 Paesi.
Come l'acquisizione, avvenuta nel 2016, da parte dell'azienda cinese Cosco, del 51% della società che gestisce il porto greco del Pireo: di fatto, ciò significa che da quasi tre anni uno dei porti più importanti del Mediterraneo è controllato da una compagine che riferisce direttamente al governo di Pechino.
Un altro esempio sono i 60 miliardi di dollari di finanziamenti a fondo perduto o a tassi super agevolati assicurati dallo stesso Xi Jinping lo scorso anno ai 50 capi di stato africani riuniti in occasione del terzo Forum on China-Africa Cooperation: giusto per avere un termine di paragone, la manovra economica italiana per il 2019 vale circa 42 milioni di dollari.
I sei pilastri. Descrivere nel dettaglio la BRI è quasi impossibile. Per quel che possiamo vedere, Pechino non fa molto per garantire la trasparenza dell'iniziativa - a cominciare dal sito Internet ufficiale per l'iniziativa, che è molto più "marketing" che informativo. In sintesi, la Belt and Road Initiative vedrebbe snodarsi, dalla Cina, sei grandi corridoi commerciali:
# quello con il Pakistan (Cpec);
# quello che passa per l'India, il Bangladesh e il Myanmar (Bcimec);
# quello che unisce Iran, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan e Uzbekistan (Cwaec);
# quello che coinvolge Cambogia, Laos, Malesia, Thailandia, Myanmar e Vietnam (Cicpec);
# quello che collega Pechino con Russia e Mongolia (Cmrec);
# quello che garantisce gli sbocchi in Europa (Nelb).
Nel mirino dei cinesi ci sarebbero il porto di Trieste, una cooperazione nel comparto dell'energia tra Terna e la State Grid Corporation of China e non meglio specificate collaborazioni tra aziende pubbliche e private orientali e grandi progetti europei come la TAV.
L'Europa chiede attenzione. Qualche giorno fa il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha dichiarato che l'Italia potrebbe ufficialmente aderire alla Belt and Road Initiative, diventando così il primo Paese del Gruppo dei 7 (G7: Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Usa, Canada) a schierarsi apertamente a fianco di Pechino. Conte ha dichiarato che sarà firmato un memorandum d'intesa sulla BRI in occasione della visita in Italia di Xi Jinping (21-23 marzo).
A livello internazionale, diversi Paesi, capitanati da Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, hanno apertamente dichiarato di non essere favorevoli alla BRI e la stessa Unione Europea ha chiesto all'Italia prudenza sul contenuto degli accordi che si accinge a firmare. Questo perché (affermano gli analisti) il rischio è che il baricentro economico del nostro Paese e dell'intera Europa si sposti dall'asse occidentale verso un asse orientale e cinese e che la Cina acquisti, se non il controllo, significative aree di influenza in settori considerati strategici per l'economia e la sicurezza nazionale.
Antonio Tajani, Presidente del Parlamento Europeo, in un incontro organizzato dall'Istituto per il Commercio Estero (ICE) a New York con i rappresentanti delle imprese italiane attive negli Stati Uniti, ha sottolineato più volte come la Cina sia un avversario commerciale e che Europa e Stati Uniti dovrebbero allearsi mettendo in campo strategie comuni finalizzate alla tutela dei rispettivi interessi economici.