A Rio 2016 verrà usato per la prima volta un test per scoprire se gli atleti in gara hanno cercato di manipolare il loro patrimonio genetico, per potenziare i muscoli e aumentare la resistenza: quello che cominciamo a conoscere come doping genetico.
È in realtà un tipo di comportamento sportivo illecito di cui si parla da anni, e che già nel 2003 la World Anti-Doping Agency (WADA), ha incluso nella lista delle pratiche proibite. Non c’è però alcuna prova che ci siano atleti che lo abbiano davvero utilizzato, anche perché si tratta di tecniche molto complesse (oltre che rischiose).
Sospetti. «Questo test è il primo del suo genere e viene utilizzato per la prima volta», ha detto a Focus.it Carl Johan Sundberg, ricercatore in fisiologia dello sport al Karolinska Institutet di Stoccolma e membro del gruppo di studio sul doping genetico della WADA, incontrato all'EuroScience Open Forum che si è tenuto nei giorni scorsi a Manchester.
In pratica, le autorità cercano di correre ai ripari in anticipo, adottando un test per un genere di doping quasi fantascientifico e di cui finora c'è solo il sospetto.
L’autorità non ha dichiarato in quali discipline gli atleti verranno testati, né quanti atleti. Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha invece precisato che i campioni raccolti a Rio verranno sottoposti al test dopo i giochi, non durante.
Si sa poi che il test approvato ufficialmente riguarda la possibilità di rintracciare la presenza della versione artificiale di geni per l’EPO, l’ormone eritropoietina prodotto naturalmente dai reni, che regola la produzione di globuli rossi nel sangue, al centro di tanti scandali nel doping sportivo a partire dagli anni Novanta.
In che cosa consiste. In parole semplici, il doping genetico è un risultato collaterale delle ricerche di terapie geniche (vedi Terapia genica, che cos'è e a che punto stiamo) per curare malattie serie: ricerche che spesso producono molta conoscenza ma pochi risultati. In questo caso l'inserimento di Dna sano verrebbe fatto non per correggere gli effetti di una mutazione ma per migliorare le prestazioni fisiche.
L'interesse per un possibile utilizzo nell'ambito dello sport è scattato fin dalla pubblicazione dei primi lavori sulle ricerche in terapia genica. In linea di principio, qualunque gene associato a super-prestazioni potrebbe essere un candidato per il doping genetico. Nella pratica, l’attenzione si è concentrata su quelli associati a funzioni specifiche su cui hanno già lavorato i ricercatori con esperimenti su animali.
Uno è il gene IGF-1, che introdotto nei muscoli di topi ha dimostrato di promuoverne la crescita; un altro quello per l’EPO, che i ricercatori stanno cercando di sviluppare sotto forma di terapia genica per chi soffre di anemia grave, per esempio in seguito a chemioterapia.
Per gli atleti, inserire il gene modificato nel loro corpo tramite un vettore virale, oppure con iniezioni intramuscolo, sarebbe un modo per far produrre “naturalmente” al corpo maggiori quantità di eritropoietina, senza ricorrere alla versione sintetica dell’ormone, che i test anti-doping attuali, introdotti nel 2000, sono in grado di rilevare.
Test australiano. Il nuovo test è stato sviluppato in Australia nel laboratorio accreditato della WADA da Anna Baoutina, ricercatrice al National Measurement Institute di Sidney. Dai pochi dettagli a disposizione, pare che riesca sia a controllare la presenza dei virus che più comunemente vengono usati come vettori per la terapia genica (cioè per introdurre nel corpo il segmento di Dna voluto), sia ad analizzare la sequenza dei geni che codificano per l’Epo per scoprire anomalie che segnalerebbero l’introduzione di un segmento di Dna “estraneo”.
Si tratterebbe in particolare del fatto che mentre normalmente i geni che codificano per le proteine dell’Epo sono intervallati da sequenze di Dna chiamati introni, nella sequenza artificiale i geni vengono di solito messi uno accanto all’altro senza intervalli.
Disposti a tutto. Di sicuro, i ricercatori che lavorano nel settore delle ricerche sulla terapia genica non si sorprendono più, come accadeva anni fa, di essere contattati da allenatori - o dagli atleti stessi - per avere informazioni o per candidarsi a provare in prima persona le tecniche concepite per curare malattie muscolari o agire sul metabolismo, apparentemente incuranti delle enormi incertezze scientifiche. «Perché ci sono atleti disposti a correre qualunque rischio pur di vincere una medaglia», afferma Sundberg.
Da non credere. E del resto il mondo stesso del doping sportivo è pieno di storie incredibili, come lo scandalo del presunto programma di doping di Stato per gli atleti russi. Tra gli episodi più inquietanti ci sarebbero quelli che hanno coinvolto gli sportivi della nazionale russa ai giochi olimpici invernali di Sochi, nel 2014.
«I campioni di urina venivano scambiati di notte attraverso un buco nel muro», ha raccontato in conferenza stampa a ESOF Arne Ljungqvist, l’ottantacinquenne ex-atleta olimpico ed ex presidente della commisione medica del CIO, una delle massime figure della ricerca anti-doping al mondo. Come ha raccontato nei dettagli il New York Times grazie alla testimonianza dell'ex-direttore dell'agenzia russa di antidoping, Grigory Rodchenkov, fuggito negli Stati Uniti, gli esperti russi avevano trovato il sistema per aprire le provette sigillate contenenti l’urina dei loro atleti e sostituirla con quella “pulita” raccolta mesi prima delle gare.
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