Economia

Acquacoltura: il pesce di allevamento

Oltre la metà dei prodotti ittici consumati nel mondo proviene da allevamenti. Pare non ci sia scelta: il cosiddetto pescato è sempre più scarso e caro, mentre l'acquacoltura sfama a buon mercato e garantisce posti di lavoro. Offre prodotti di qualità? A quale prezzo per l'ambiente?

Metà del pesce che arriva sulle nostre tavole proviene dall'acquacoltura: è pesce d'allevamento. La cosa può piacere o meno, ma - sottolinea la Fao nelle sue pagine online dedicate al fisheries - nella prospettiva del costante aumento della popolazione mondiale e della riduzione delle riserve naturali di pesce, l'allevamento industriale di pesce, crostacei e molluschi è un asso nella manica. Non è un'invenzione dell'ultima ora: una ricerca del 2003 suggerisce che gli aborigeni australiani praticavano l'acquacoltura già 8.000 anni fa (vedi), ma è negli ultimi trent'anni che l'allevamento del pesce è diventato un'industria.

PARLANO I NUMERI. A partire dal 2000, la produzione mondiale è aumentata del 7% ogni anno. Nella sola Europa dei 28 rappresenta il 20% della produzione ittica e occupa 80.000 persone. Nel rapporto 2013 dell'Stecf, il comitato per la pesca della Commissione europea, si legge che "l'acquacoltura è il settore di produzione di cibo animale in più rapido sviluppo nel mondo e contribuisce in modo sempre più importante all'approvvigionamento alimentare globale, alla sicurezza alimentare e alla crescita economica" (link al rapporto Stecf in pdf, in lingua inglese). Superata la crisi del 2008-2009, infatti, l'allevamento in acqua ha mostrato una crescita significativa e costante in risposta all'aumento dei consumi.

Fish dependence day 2014: il pesce dei mari europei è finito l'11 luglio. © Bengt Lundberg/Nature Picture Library/Contrasto

CHE NATURA INSUFFICIENTE! Oltre all'Overshoot Day, il giorno (calcolato) in cui finiscono le risorse che la Terra può rinnovare di anno in anno (il 19 agosto, nel 2014), c'è anche un Fish dependence day: per il 2014, il pesce made in Italy (il pescato dei nostri mari) è tecnicamente esaurito dal 15 aprile, quello dei mari europei dall'11 luglio. È una scadenza tecnica che va interpretata così: considerati i consumi nel nostro Paese, se in Italia si mangiasse solo pescato dei nostri mari non ce ne sarebbe più già dal 15 aprile e per il resto dell'anno ci sarebbe solamente pesce di importazione o allevato.

I consumi dei Paesi industrializzati sono però solamente una parte di una più ampia questione alimentare globale.

NUTRIRE IL PIANETA. La Fao pone l'accento sulla grande sfida alimentare "in un mondo dove oltre 800 milioni di persone continuano a soffrire di malnutrizione cronica e nel quale si stima che la popolazione aumenterà di altri due miliardi nel 2050", sottolineando il "ruolo significativo di pesca e acquacoltura nell'eliminare la fame, promuovere la salute e ridurre la povertà". Benessere anche economico, quindi: le analisi di settore mostrano come questo mercato dia lavoro a milioni di persone nel mondo.

La FAO in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione:
le chiavi di volta nella guerra alla fame nel mondo.

La Fao e le organizzazioni governative (Stecf dell'Unione Europea inclusa) sottolineano che questo sviluppo economico avviene salvaguardando l'ambiente e le risorse naturali del pianeta.

Su questo aspetto si è però aperto un dibattito che mette in luce molte contraddizioni.

La "raccolta" del pesce in Cina. © CAMERA PRESS/Large Fish Catch In China/Contrasto

RISORSE IN SALVO O A RISCHIO? Danni agli ecosistemi costieri causati dalla straordinaria concentrazione di escrementi animali e materia organica in decomposizione in spazi estremamente ridotti; scarsa attenzione al benessere degli animali, stipati all'inverosimile nei recinti in acqua; uso di mangimi e farine animali capaci tra l'altro di impoverire la fauna; possibili modificazioni genetiche che possono avere serie ricadute sulle specie selvatiche.

In sintesi, abbiamo riportato l'elenco di ciò che alcune associazioni ambientaliste mettono sull'altro piatto della bilancia. Certo non tutte le attività di acquacoltura sono uguali: alcune sono più rispettose dell'ambiente e degli animali, e consegnano sui banchi dei mercati del pesce prodotti saporiti e di pregio; altre sfornano pesci, molluschi e crostacei al di sotto degli standard qualitativi e ambientali ragionevoli.

E quale che sia la tecnica usata, sul versante "dati economici" bisogna aggiungere che i pescatori si sentono schiacciati dalla concorrenza con gli allevatori in un momento in cui il loro settore è in crisi e il loro prodotto per forza di cose più caro.

Con l'acquacoltura torna dunque in scena l'antica contrapposizione cacciatori-allevatori e nella discussione in corso i temi sono quelli delle buone pratiche di allevamento e le questioni ambientale e commerciale, etichettatura inclusa (vedi).

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17 ottobre 2014 Giuliana Lomazzi
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