Le nuove immagini dell'Event Horizon Telescope (EHT) svelano per la prima volta i campi magnetici nei dintorni del buco nero M87. Abbiamo chiesto a un protagonista della ricerca, l'italiano Ciriaco Goddi, di spiegarcele.

Ricordate la prima foto di un buco nero, M87, pubblicata quasi due anni fa dalla collaborazione dell'Event Horizon Telescope? Ora quella stessa immagine si arricchisce di dettagli che ci permettono un ritratto più preciso. La nuova foto del buco nero è infatti ricavata dagli stessi dati, ma è vista attraverso l'equivalente di un filtro polaroid, come quelli che si montano sulle macchine fotografiche per eliminare i riflessi indesiderati.

In questo modo, i ricercatori hanno ottenuto un altro risultato storico: «Queste immagini infatti ci permettono per la prima volta di leggere i campi magnetici nelle vicinanze dell'orizzonte degli eventi, e i flussi di particelle che accrescono il buco nero o vengono espulsi in getti», ci spiega Ciriaco Goddi, primo autore di uno dei tre studi pubblicati

Immagine deformata. Andiamo con ordine. La prima foto di M87, un buco nero al centro dell'omonima galassia, è stata pubblicata il 10 aprile 2019 e ha fatto subito il giro del mondo. Qualcuno l'ha definita la foto del secolo, e in effetti è straordinaria per molte ragioni. Un buco nero è un corpo celeste la cui gravità è talmente intensa che nulla, nemmeno la luce, può uscire da una superficie che lo circonda, detta orizzonte degli eventi.

Dunque, per definizione un buco nero non si può vedere. Quello che la foto in questione mostra, infatti, non è l'orizzonte in sé, ma la radiazione emessa dalla materia subito prima di varcare la soglia di non ritorno. Si tratta di un'immagine deformata, a causa delle distorsioni dello spazio-tempo indotte dal buco nero. Per questo appare come attraverso una lente, e prende la forma di un anello visibile alle frequenze delle onde radio.

Una rete di osservatori. Realizzare una foto di questo tipo non è facile, perché i buchi neri sono piccoli e per osservarli c'è bisogno di una risoluzione angolare che nessun singolo telescopio è in grado di raggiungere. Per questo è nato l'Event Horizon Telescope (EHT), un network di otto telescopi sparsi su tutto il globo, che si comportano come un unico strumento grande come il nostro pianeta e con una risoluzione capace di distinguere una carta di credito sulla Luna. Le attenzioni di EHT si sono focalizzate sui M87, che è il buco nero con le dimensioni angolari maggiori insieme a Sagittarius A*, al centro della nostra galassia (Sagittarius A* però è meno attivo e quindi più difficile da vedere).

Gli altri buchi neri sono o troppo piccoli, o troppo lontani.

Questa immagine composita mostra vari ingrandimenti del centro della galassia Messier 87 (M87), a partire da un'immagine ottica del telescopio spaziale Hubble (in altro a sinistra). Le misure di polarizzazione appena pubblicate, permettono di studiare come si forma il getto di materia che si estende per migliaia di anni luce. © EHT Collaboration; ALMA (ESO/NAOJ/NRAO), Goddi et al.; NASA, ESA and the Hubble Heritage Team (STScI/AURA); VLBA (NRAO), Kravchenko et al.; J. C. Algaba, I. Martí-Vidal

Supergetto. M87 è un buco nero con massa pari a 6,5 miliardi di masse solari, situato a 55 milioni di anni luce da noi nella costellazione della Vergine. Gli astronomi lo conoscono da tempo, per via di uno spettacolare getto di materia che emette, e che si estende per molte migliaia di anni luce. Quel getto è generato proprio dal campo magnetico nelle immediate vicinanze dell'orizzonte degli eventi. Come? A spiegarcelo è Ciriaco Goddi, astrofisico italiano che fa parte della collaborazione e che, in particolare, ha guidato il team del radiotelescopio ALMA, in Cile.

Se i dati sono gli stessi, perché c'è voluto tanto tempo per pubblicare i nuovi risultati?

«Perché per ricavare le corrette informazioni è necessario effettuare un'accurata calibrazione di tutti i ricevitori, confrontando i segnali di diverse sorgenti astronomiche di cui si conoscono già le proprietà di polarizzazione. Questo richiede tempo, ma ora che l'abbiamo fatto possiamo essere più veloci nelle prossime osservazioni».

Che cosa rappresenta esattamente la nuova foto?

«I radiotelescopi dell'Event Horizon Telescope sono costituiti da ricevitori che filtrano le onde radio in due direzioni "di polarizzazione" diverse (la polarizzazione è la direzione in cui oscillano le onde di natura elettromagnetica), esattamente come fanno i filtri polaroid per la luce. La prima foto è stata realizzata con il segnale totale che ci arriva dallo spazio, cioè dalla somma delle due componenti. Quest'ultima, invece, mostra le differenze, cioè gli effetti della polarizzazione. Quindi si tratta esattamente delle stesse misure, ma combinate in maniera diversa».

La luce polarizzata del Buco nero di M87

Come si legge, nelle immagini, il campo magnetico? E che cosa ci dice?

«Il campo magnetico ha una configurazione complessa. Non si vede direttamente nelle immagini, ma sappiamo che è perpendicolare alla direzione della polarizzazione, che nei pressi dell'orizzonte degli eventi è orientata a spirale lungo l'anello luminoso. Stimiamo che l'intesità del campo magnetico sia compresa tra 1 e 30 gauss, cioè qualche decina di volte il campo magnetico terrestre».

Di che tipo di particelle si tratta? E come le distinguiamo?

«La materia che si avvicina a un buco nero è in uno stato particolare detto "plasma", perché è caldissima (miliardi di gradi) e frammentata. Protoni ed elettroni, che sono i protagonisti principali, hanno masse molto diverse (i protoni sono circa 2000 volte piu pesanti degli elettroni) e possono avere anche temperature diverse.

In queste immagini vediamo gli elettroni, che sono più leggeri e più veloci, dunque emettono più radiazione. È un tipo particolare di radiazione che chiamiamo "di sincrotrone"».

Ciriaco Goddi, astrofisico della Radboud University e dell’Osservatorio di Leiden (Paesi Bassi) nel sito dell'osservatorio ALMA (in Cile), che fa parte di EHT. È primo autore di uno dei tre articoli appena pubblicati sulle immagini in luce polarizzata di M87. © C. Goddi

Che cosa accade, allora, alla materia che si avvicina al buco nero?

«Le particelle possono fare due cose: o cadono nel buco nero, o vengono scagliate lontano a velocità prossime a quelle della luce. Il loro destino dipende dalle due forze in gioco: la gravità e il campo magnetico. Quindi il campo magnetico è importante perché decide se la particella viene inghiottita o sparata via, andando ad alimentare il getto che osserviamo nelle immagini astronomiche. Bisogna dire che il campo magnetico è creato sia dal buco nero, sia dal plasma stesso in movimento: è un'entità dinamica, e nei dati vediamo che cambia di giorno in giorno».

Alla fine, quale percentuale di materia viene inghiottita, e quale viene espulsa?

«Al momento è difficile dirlo. Quello che sappiamo è che, nei processi che osserviamo, l'accrescimento del buco nero è tra 0,3 e 2 millesimi di masse solari all'anno. In media, cioè, M87 divora una massa paragonabile a quella della Terra ogni giorno».

Nel frattempo, le osservazioni continuano. Quando potremo finalmente vedere Sagittarius A*, il buco nero al centro della nostra galassia?

«La misura del campo magnetico è molto importante dal punto di vista astronomico, proprio perché permette di capire i fenomeni di accrescimento e la formazione dei getti. Quindi abbiamo investito moltissime risorse in questo, e per noi questa immagine avrà un impatto anche maggiore della prima. Però è vero che siamo interessati anche all'immagine dinamica di Sagittarius A*. Per questo ci siamo divisi per quanto possibile in due grandi squadre, per cercare di far avanzare parallelamente i due progetti. Negli ultimi mesi, gli studi di polarizzazione hanno avuto la precedenza. Però presto torneremo a puntare l'attenzione e gli strumenti al cuore della nostra galassia».

24 marzo 2021 Andrea Parlangeli
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